La
Voce dei Bancari anno LI – N.6/1999
di LUCA DELL’ANESE
C.E.R.T.I. università Bocconi - Milano
L’articolo
10 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, ha introdotto nell’ordinamento
tributario del nostro Paese una nuova disposizione volta a contrastare i
trasferimenti fittizi all’estero della residenza tributaria da parte di
cittadini italiani. Tali trasferimenti si traducono in consistenti risparmi
d’imposta qualora il contribuente italiano riesca a stabilire la propria
residenza in uno Stato che assicuri ai soggetti ivi insediatisi un trattamento
fiscale privilegiato (cd. paradisi fiscali).
L’ordinamento
tributario italiano, infatti, conformemente a quanto disposto dalle
legislazioni fiscali dei Paesi economicamente più evoluti, non identifica nella cittadinanza un elemento determinante
ai fini della nascita delle
obbligazioni tributarie. A tal proposito risulta invece decisiva la nozione di
residenza fiscale. I soggetti residenti nel nostro Paese vengono infatti
assoggettati ad imposizione sui redditi ovunque prodotti, all’interno ovvero al
di fuori dei confini nazionali (cd. principio della tassazione mondiale – o worldwide
taxation principle); i soggetti non residenti, per contro, sono sottoposti
a tassazione solo sui redditi prodotti entro i confini nazionali. Trasferendo
la propria residenza all’estero, pertanto, un cittadino italiano può
legittimamente sottrarre alle pretese impositive del nostro Paese i redditi
prodotti fuori del territorio nazionale, rimanendo obbligato verso il Fisco
italiano solo ed esclusivamente per i redditi realizzati entro i confini dello
Stato. Peraltro, attraverso un’accorta pianificazione fiscale, anche questi
ultimi possono essere minimizzati. Se a ciò si aggiunge il fatto che
solitamente la residenza viene trasferita in Paesi che garantiscono
un’imposizione minimale - se non addirittura nulla – sui redditi conseguiti
dalle persone fisiche, si può cogliere appieno il vantaggio connesso alla
realizzazione di tale pratica elusiva.
Non
stupisce, pertanto, il vero e proprio “esodo”, verificatosi nel corso degli
anni, di connazionali famosi – artisti, sportivi o professionisti - verso
paradisi fiscali più o meno noti.
Basti
citare, tra tutti, il caso del Principato di Monaco. Dei 30 mila residenti
monegaschi, infatti, circa un sesto risultano essere cittadini del nostro
Paese, attirati verso il vicino Principato dal regime fiscale particolarmente
favorevole che esso assicura ai propri residenti. A Montecarlo, infatti, non
sono previste imposte personali sul reddito (la nostra Irpef), né vengono assoggettati
ad imposizione i redditi prodotti all’estero dai soggetti ivi residenti, né,
tantomeno, esiste alcuna imposta di successione. Peraltro, la contiguità
geografica del piccolo regno d’oltreconfine col territorio italiano consente ai
cittadini italiani ivi residenti di mantenere relazioni molto strette con il
nostro Paese.
La nozione di
residenza fiscale. L’art.
2, comma 2, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (t.u.i.r.) disciplina la
nozione di residenza fiscale delle persone fisiche. Tale norma dispone che: “ai
fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la
maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della
popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la
residenza ai sensi del codice civile”.
Pertanto,
si considerano residenti le persone fisiche che per almeno 183 giorni - anche
non continuativi – nel corso dell’anno:
-
sono
iscritte nelle anagrafi comunali della popolazione residente; o
-
hanno il
domicilio o la residenza nel territorio dello Stato ai sensi del codice civile.
Con
riferimento a questa seconda condizione, è da notare come l’art. 43 del codice
civile identifichi nella residenza il luogo in cui la persona ha la
propria dimora abituale, e nel domicilio quello in cui il soggetto ha
stabilito la sede principale dei propri affari e interessi.
Occorre
osservare, peraltro, come sia sufficiente il verificarsi di una sola delle
predette condizioni affinchè il soggetto venga considerato fiscalmente
residente in Italia. Pertanto, l’Amministrazione finanziaria può ritenere
comunque residente nel nostro Paese un soggetto che si sia trasferito
all’estero, provvedendo a cancellarsi dall’anagrafe della popolazione residente
e a iscriversi nell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire),
ma
abbia continuato a mantenere nel nostro Paese la propria dimora abituale (ad
esempio conservando in Italia i propri legami familiari ed affettivi e la
propria abitazione) o i propri interessi economici.
Spetta
naturalmente all’Amministrazione finanziaria fornire la prova del fatto che il
cittadino italiano, pur regolarmente iscritto all’Aire, risulta comunque
residente in Italia a causa dei suoi interessi economici, sociali o familiari
con il nostro Paese.
L’Aministrazione,
a questo proposito, con la Circolare del 2 dicembre 1997, n. 304/E, ha dettato
regole rigorose per le verifiche in materia di residenza.
Tuttavia,
le difficoltà di ordine pratico incontrate dai verificatori nel tentativo di
dimostrare la fittizietà di alcuni trasferimenti all’estero e gli elevati costi
- sia in termini economici che di impiego di risorse umane - che
l’Amministrazione si è trovata ad affrontare nel sostenimento di tali indagini,
hanno indotto il legislatore ad attribuire al contribuente l’onere di provare
l’effettività del trasferimento all’estero della residenza nel caso in cui il
cittadino si stabilisca in un “paradiso fiscale”, essendo proprio tali Paesi a
garantire i maggiori risparmi d’imposta e, al contempo, ad essere meno
disponibili a collaborare con le Amministrazioni fiscali degli Stati esteri nel
fornire informazioni rilevanti ai fini delle indagini fiscali.
_ Il nuovo art. 2, comma 2-bis, del tuir. L’art. 10 della legge 23 dicembre 1998,
n. 448 ha pertanto aggiunto all’art. 2, comma 2, del tuir il seguente comma 2-bis:
“Si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini
italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in
Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con
decreto del Ministro delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale”
La
norma trova, quindi, applicazione al verificarsi di due condizioni:
a)
il soggetto
in questione deve essere un cittadino italiano (anche con doppia nazionalità,
eventualmente);
b)
il soggetto
deve essersi cancellato dall’anagrafe della popolazione residente e trasferito
in uno dei paradisi fiscali individuati dal Decreto ministeriale del 4 maggio
1999 (tra i Paesi inseriti nella black list vi sono - oltre a località
esotiche e isole tropicali nelle quali, comunque, dimorano stabilmente pochi
nostri connazionali - alcuni Stati geograficamente vicini al nostro e dove la
presenza di cittadini italiani risulta essere alquanto consistente, quali, ad
esempio, la Svizzera, il Principato di Monaco, Malta e San Marino).
Al
verificarsi delle suddette condizioni si realizza l’inversione dell’onere della
prova a carico del contribuente. In tal caso, non è più l’Amministrazione
finanziaria a dover dimostrare la permanenza in Italia del soggetto estero.
Sarà il contribuente, al contrario, a dover far valere gli elementi di prova di
cui dispone al fine di dimostrare la sua presenza nel “paradiso fiscale”.
Ovviamente, le prove che il contribuente dovrà fornire al Fisco non potranno
limitarsi al soddisfacimento delle condizioni che nello Stato estero sono
richieste per l’ottenimento dello status di residente. Ciò, infatti,
svuoterebbe la norma appena introdotta di qualsiasi contenuto innovativo.
Piuttosto, egli dovrà dimostrare di essere presente nel Paese estero in modo
effettivo e non sporadico. A tal fine, mezzi di prova che dimostrino
l’effettiva permanenza del cittadino italiano all’estero potranno essere
costituiti da atti delle autorità del luogo, fatture, documenti, bollette dei
consumi elettrici, telefonici e dell’ acqua potabile (anche se questi consumi
possono essere - come spesso accade –
effettuati da altre persone per conto del cittadino italiano, magari dagli
stessi portieri degli stabili ove tali soggetti hanno la propria abitazione),
nonché dall’uso sul posto di carte di credito per i consumi quotidiani. Anche
la dimostrazione di aver trasferito nel Paese straniero l’intera famiglia – o
al contrario l’esistenza di valide ragioni che motivino il permanere in Italia
dei propri congiunti - può rappresentare un indice dell’effettiva rescissione
da parte del connazionale dei legami economici, sociali e familiari con il
territorio dello Stato.
Da
quanto detto si comprende come la dimostrazione in questione appaia un compito
assai arduo per il contribuente. Sarà difficile, ad esempio, per un artista o
uno sportivo di fama internazionale, stabilitosi a Montecarlo, ma assai di
frequente all’estero per impegni professionali e oggetto di costante attenzione
da parte dei media, dimostrare la propria effettiva residenza in tale
Stato.
Ciò
dovrebbe tradursi, secondo le intenzioni del legislatore, in una notevole
riduzione dei trasferimenti fittizi di residenza all’estero da parte di
cittadini italiani.