La
Voce dei Bancari anno LI – N.7/1999
DIRITTO DEL LAVORO
“L’avvocato
risponde”
di SOFIA CECCONI – Avvocato -Consulente legale Fabi
Le garanzie per il lavoratore impegnato
nell’attività di volontariato
Ogni anno presto un servizio di volontariato non retribuito della durata di una settimana con l’U.N.I.T.A.L.S.I. (Unione Nazionale Italiana Trasporto Ammalati a Lourdes ed altri Santuari Internazionali) […]. Per potere svolgere tale servizio utilizzo una parte delle ferie che annualmente mi spettano.
La domanda che pongo è questa: esiste una qualche
norma, o legge, che consente a chi svolge servizi del genere, magari per un
massimo di tot giorni, di potere usufruire per i giorni in discorso di un
periodo di permesso retribuito? Se si, quali sono le modalità per accedere a
tale opportunità?[...]
(Enrico Cosenza)
Non esiste una
normativa che, applicata al caso di specie, sancisca il diritto del soggetto
impegnato nel volontariato di beneficiare dei permessi retribuiti durante il
periodo di assenza dall’attività lavorativa.
La legge limita tale
diritto alla presenza di alcuni requisiti. Ad esempio, vi sono casi in cui
possono essere garantiti trenta giorni continuativi di permesso retribuito,
fino ad un massimo di novanta giorni nell’anno, per lo svolgimento di : a)
attività in associazioni di volontariato inserite nell’elenco del Dipartimento
della protezione civile; b) attività di soccorso e di assistenza in occasione
di pubbliche calamità, autorizzate dal Dipartimento della protezione civile o
dalla competente prefettura [v. ad esempio ord. Dipartimento protezione civile
1° aprile 1999, n. 2986 (G.U. 8 aprile 1999, n. 81) per l’assistenza alle
popolazioni coinvolte nella crisi in atto nelle zone di guerra dell’area
balcanica].
Tale disciplina
prevede inoltre che debbano essere assicurati al volontario i seguenti benefici:
a) mantenimento del posto di lavoro pubblico o privato; b) mantenimento del
trattamento economico e previdenziale da parte del datore di lavoro pubblico e
privato; c) copertura assicurativa (art. 10, d.p.r. 613 del 1994).
Disposizioni non del
tutto dissimili vengono previste per i volontari del Corpo Nazionale del
soccorso alpino e speleologico (art. 1, l. n. 162/1992), per i donatori di
sangue e di emocomponenti (art. 13, l. n. 107 del 1990), nonché infine per i
volontari della cooperazione internazionale, ad eccezione del trattamento
economico per il periodo di aspettativa (art. 33, l. n. 49 del 1987).
Nel caso di specie –
come anticipato – mancano quei requisiti
specificatamente richiesti dalla legge per ottenere i benefici di cui sopra; il
lavoratore, a tutto concedere, può richiedere al proprio datore di lavoro di
essere ammesso ad usufruire delle forme di flessibilità di orario di lavoro,
compatibilmente con l’organizzazione aziendale, sempre che l’U.N.I.T.A.L.S.I.
faccia parte di quelle organizzazioni iscritte ai registri delle organizzazioni
di volontariato (ai sensi dell’art. 17, l. 266 del 1991).
Sui diritti per il lavoratore studente universitario
(…) Sono iscritto al corso di laurea in Giurisprudenza ed ho superato 15 esami su 23. Adesso desidererei conseguire la tanto sospirata laurea (…). Pertanto chiedo: a) qual è l’orientamento giurisprudenziale in merito alla discriminazione – quanto ai turni di lavoro – fra lavoratori studenti universitari e quelli frequentanti corsi di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale (art. 10, 1° comma, l. n. 300/1970) ?; b) come conciliare il mio status di studente con l’art. 2103 c.c., tenuto conto che già una volta ho subito un trasferimento ad altra filiale con lo specifico scopo di essere adibito alla mansione di cassiere, notoriamente più faticosa (…)?; c) potete suggerirmi qualche valido strumento di difesa?; d) ho diritto a periodi di aspettativa non retribuita per motivi di studio (ad eccezione del noto periodo da destinare alla tesi)?
(lettera firmata)
La discrasia – quanto al profilo
della turnazione e dell’orario di lavoro – fra trattamento riservato agli
studenti iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di
istruzione primaria e secondaria e di qualificazione professionale e studenti
universitari è stata giustificata dalla dottrina e dalla giurisprudenza con la
minore rigidità dell’ordinamento didattico universitario rispetto alle altre
“scuole”, sia in relazione alla strutturazione dei corsi e sia con riferimento
all’attenuazione, fino talvolta all’inesistenza, dell’obbligo di frequenza (v.
sul punto Pret. Roma 4 maggio 1996, in cui si legge che: “… la ratio del
primo comma dell'art. 10 St. lav. è quella di rendere concretamente possibile
al lavoratore la frequenza ai corsi di studio nei casi in cui essa sia
obbligatoria: ecco perché, ai fini del perfezionamento del diritto, è richiesto
che i lavoratori studenti non solo siano iscritti, ma risultino anche
"frequentanti". Nella normalità dei casi, la frequenza non é
obbligatoria nelle Università, e, comunque, non lo é nel caso di specie. Si può
aggiungere, infine, che non é un caso che proprio le Università - nella loro
autonomia ordinamentale - istituiscano assai spesso corsi per i lavoratori: la
finalità non può che essere quella di favorire il più possibile studenti che
evidentemente non possono vantare uno specifico diritto ad ottenere orari di
lavoro compatibili con quelli dei canonici corsi universitari”).
Tale premessa assorbe anche il
secondo ed il terzo quesito, non essendovi ostacoli per il datore di lavoro
nell’adibizione del lavoratore a tutte quelle mansioni corrispondenti al
proprio grado (art. 2103 c.c.), senza alcuna limitazione derivante dallo status
di studente universitario.
Il diritto all’aspettativa non
retribuita, infine, sussiste nei limiti stabiliti dall’art. 98 CCNL ex Assicredito,
che testualmente recita: “l’Azienda, compatibilmente con le esigenze di
servizio riconosce al lavoratore che ne faccia richiesta un’aspettativa non retribuita
per motivi di studio (…) fino ad un massimo di un anno utilizzabile in modo
frazionato, di massima in non più di due periodi”.
TRASFERIMENTO ILLEGITTIMO SE PEGGIORA INUTILMENTE LE CONDIZIONI DEL
LAVORATORE
Tribunale di Cremona, 29 luglio 1999, Mazzolari c/ Banca Popolare di Cremona.
Il
dovere extracontrattuale del neminem laedere impone al datore
di lavoro di preservare gli interessi del lavoratore anche nell’ipotesi di
trasferimento, allorquando ciò non importi un apprezzabile sacrificio per
l’Azienda (Il Pretore ha ritenuto illegittimo il trasferimento di una
lavoratrice addetta al servizio di pulizia, potendo la cooperativa esterna,
subentrata nel servizio di pulizia ad alcuni lavoratori della Banca, assegnare,
senza grosse difficoltà, o senza una rilevante maggiorazione del corrispettivo
dell’appalto, la propria socia alla filiale di destinazione della dipendente
piuttosto che all’altra presso cui quest’ultima risultava già adibita da
tempo).
Nota
La sentenza in epigrafe, nell’ottica della
ragionevolezza dei provvedimenti datoriali, delimita, con l’ausilio del
principio del neminem laedere, la soglia dell’arbitrio nelle scelte
aziendali.
La vicenda giudiziaria prende le
mosse dall’impugnazione di un trasferimento comminato ad una addetta al
servizio di pulizia di una banca, a seguito della ristrutturazione di tale
attività, affidata appunto ad una società esterna.
Rileva a questo proposito il giudice
che anzitutto non v’è collegamento alcuno fra appalto del servizio e
trasferimento della lavoratrice, ben potendo quest’ultima continuare a svolgere
la propria attività presso l’identica unità produttiva ed essere assegnate alla
pulizia della ditta esterna le restanti filiali ed i rispettivi addetti.
In secondo luogo, viene sottolineato
dal giudicante come non sussista alcune apprezzabile vantaggio, né
organizzativo e né economico, nello spostamento logistico della lavoratrice,
seppure in conseguenza del mutamento organizzativo testé richiamato. Di qui il
motivo illecito, ovvero ritorsivo, del provvedimento, dettato non tanto da
ragioni oggettive, quanto piuttosto dalla volontà aziendale di costringere la
lavoratrice a dimettersi in conseguenza del disagio subito per effetto del
trasferimento.
La sentenza merita apprezzamento
soprattutto perché introduce l’importante principio della “solidarietà
contrattuale”, che impone ad un parte di salvaguardare l’utilità dell’altra
parte nei limiti in cui ciò non importi un apprezzabile sacrificio. Mutatis
mutandis, la Banca avrebbe potuto – come si legge testualmente nella
pronuncia – salvaguardare gli interessi della lavoratrice con un sacrificio
trascurabile per se stessa.
L’arricchimento degli obblighi
datoriali, frutto di una ormai costante sedimentazione giurisprudenziale,
spinge insomma la fattispecie del trasferimento verso quelle peculiari ipotesi
modificative del rapporto di lavoro, valutabili alla stregua di extrema
ratio, in cui si impone al giudice non solo un controllo della sussistenza
dei motivi del provvedimento, ma anche la valutazione sul contemperamento di
interessi, al fine di evitare soluzioni illogiche ed inutilmente vessatorie per
il lavoratore.