La Voce dei Bancari anno LIII –
N.2/2001
DIRITTO DEL LAVORO
“L’avvocato
risponde”
di SOFIA CECCONI – Avvocato -Consulente legale Fabi
Sul
computo del periodo di comportoT
Sono
un dipendente bancario (…). Dal mese di settembre 2000, a causa di una malattia
al sistema circolatorio, sono stato costretto ad assentarmi dal posto di lavoro
per 50 giorni; quando ho ripreso a lavorare, a seguito di un infortunio
extralavorativo, sono stato costretto ad assentarmi di nuovo. Ora mi chiedo, e
Le chiedo, se nel periodo di comporto per malattia verrà conteggiata l’intera
mia assenza dal lavoro (…).
(lettera firmata)
Fra i casi di lecita sospensione del rapporto di lavoro si collocano la malattia e l’infortunio del lavoratore, in ordine ai quali l’art. 2110, 2° comma c.c., prevede in favore del lavoratore il diritto alla conservazione del posto di lavoro per tutto il tempo (c.d. periodo di comporto) previsto dalla legge, dalle norme collettive, dagli usi o dall’equità. Nessuna specificazione in ordine alle modalità di calcolo del suddetto periodo viene data dalla legge, la quale opera unicamente il rinvio alle fonti suindicate.
Il ccnl del 1994 (ABI) del settore bancario all’art. 99 prevede un sistema di calcolo del comporto riferibile ad un'unica assenza per malattia o infortunio, che va da sei a diciotto mesi, a seconda dell’anzianità di servizio del lavoratore, non occupandosi affatto del caso della assenza frazionata.
La giurisprudenza ha colmato (quella che è stata ritenuta) la lacuna del regime contrattuale, introducendo, stavolta a discapito del lavoratore, la possibilità di sommare le assenze discontinue del lavoratore per infortunio e malattia ai fini del calcolo del periodo di comporto.
Detto questo la risposta al quesito non può che
essere la seguente: il periodo di comporto non decorre ex novo al
verificarsi dell’infortunio, ma nel conteggio entrano purtroppo a far parte
anche le assenze per malattia verificatesi precedentemente.
Come può allora tutelarsi il prestatore di lavoro
che veda il periodo di comporto giungere al termine e quindi rischi il
licenziamento? L’unica cosa che – anche cautelativamente – il dipendente può
fare, è quella di chiedere, prima ancora della scadenza del suddetto periodo, l’aspettativa
non retribuita, per un massimo di 4
mesi, prevista dal contratto collettivo all’art. 100.
L’impossibile
confusione fra “missione” e “trasferimento”T
Sono
un lavoratore bancario e mi ritrovo ad affrontare un serio problema lavorativo.
A causa di esigenze tecniche non meglio specificate sono stato mandato in
“missione” presso una filiale della Banca. Al termine della missione il
suddetto provvedimento è stato trasformato in “trasferimento” vero e proprio. È
legittimo il comportamento della banca?
(lettera firmata)
Per rispondere con chiarezza alla questione occorre prendere le mosse dal ccnl del 1994 (ABI), il quale agli artt. 109 e 110 prevede una diversa disciplina per la “missione” e per il “trasferimento”. Nel primo caso viene evidenziata la temporaneità del provvedimento e nel secondo caso viene invece sottolineata la stabilità del mutamento del luogo della prestazione.
Di conseguenza, il trattamento riservato al lavoratore
è diverso nei due casi: nel primo, trattandosi di un’esigenza immediata e non
definitiva, l’azienda non è tenuta a comunicare le ragioni del provvedimento e
neppure a preavvertire il dipendente; nel secondo caso invece, presupponendosi
una riorganizzazione definitiva del lavoro, l’imprenditore deve comunicare per
tempo la propria decisione al dipendente, esplicitando le motivazioni tecniche,
organizzative e produttive sottese al provvedimento (v. pure art. 2103 c.c.).
Venendo dunque al quesito in esame non può non destare
perplessità il fatto che la Banca abbia esternato sempre con riferimento alla
stessa posizione lavorativa due diverse ed inconciliabili esigenze
organizzative. Resta dunque il dubbio sulla serietà della scelta.
Per tutto quanto sopra illustrato, anche alla luce di
quanto riferito dal lavoratore, si suggerisce di richiedere all’azienda le
ragioni del trasferimento per valutare compiutamente l’opportunità di
un’eventuale impugnazione giudiziale del provvedimento.
Licenziamento
per giusta causa:
è
illegittimo se l’inadempimento contestato è di lieve entità
Per stabilire in concreto l'esistenza di una giusta
causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione
degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello
fiduciario, occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al
lavoratore, in relazione alla portata oggettiva dei medesimi, dall'altro la
proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione
dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro
sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare,
definitivamente espulsiva (Nella specie, il giudice di merito, con la sentenza
confermata dalla suprema corte, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento
intimato a un dipendente bancario che, a seguito di una verifica effettuata
dall’ufficio ispettorato, era risultato colpevole di non avere denunciato
all’Azienda un ammanco di lire 500.000).
Nota
La sentenza in epigrafe afferma l’importante principio
di diritto secondo cui per valutare concretamente la lesione dell’elemento
fiduciario nell’ambito del rapporto di lavoro occorre tenere conto della
gravità del fatto contestato e del contesto lavorativo (prassi, usi aziendali
ed altro) in cui il soggetto opera.
Nel caso di specie, i giudici hanno rilevato come il prelievo da parte di un cassiere del Banco di Sicilia della modesta somma di lire 500.000 dalla cassetta in sua dotazione era giustificato da una prassi aziendale di tolleranza del prelevamento temporaneo di modiche somme da parte dei cassieri, prassi che evidenziava l’improbabilità di una finalità sottrattiva ai danni del datore di lavoro.
La sentenza si sofferma anche sulla valutazione della “eccessività” della sanzione espulsiva comminata al lavoratore, finendo per confermare le precedenti decisioni che avevano ritenuto illegittimo il licenziamento.
T Nella risposta si tiene conto della disciplina del ccnl ABI del 1994, mancando l’articolato del nuovo contratto del 1999.