MOBBING,
se lo conosci lo eviti
Nonostante
la modernità del termine - oggi comunemente usato per designare la vasta
fenomenologia della violenza psicologica sui luoghi di lavoro -, il mobbing
richiama comportamenti antichi come il mondo (basti pensare all’“homo homini
lupus” di cui parlò Terenzio, commediografo latino, nel II sec. a. C.).
Ad
esso si ricollegano, in particolare, le azioni persecutorie ed i processi di
emarginazione posti in essere da colleghi, superiori, o dalle stesse
imprese, nei confronti di lavoratori
percepiti come “diversi”, ovvero non integrati né integrabili in uno specifico
contesto lavorativo.
Le
vittime privilegiate del mobbing, verso cui si orientano il pregiudizio,
l’invidia, la rivalità, l’ostilità di un singolo o del gruppo, sono spesso
uomini scomodi, di elevata professionalità e cultura (ritenuti destabilizzanti
dalle stesse strutture - burocratizzate, sclerotizzate o scarsamente efficienti
- per cui lavorano), oppure sono lavoratori che provengono da altre aziende, o
ancora individui portatori di spiccati valori morali, o di idee politiche e
religiose diverse.
In
Italia il dibattito sul mobbing ha assunto rilevanza sociale e giuridica
solo da pochi anni, coinvolgendo - in maniera ancora piuttosto disorganica -
medici, psicologi, giuristi, politici e sindacalisti.
Fenomeno sottovalutato?
Proprio
a questi ultimi viene rimproverato, da più parti, un eccessivo disimpegno, o
meglio una singolare sottovalutazione del fenomeno, da cui deriverebbe la
marginalità delle iniziative di fatto assunte per contrastarne l’insorgenza e la
diffusione.
Il
primo Contratto Nazionale che introduce esplicitamente il mobbing è
quello degli assicurativi, mentre alcuni articoli sul tema sono contenuti nei
CIA di istituti come il San Paolo e il
Gruppo Banca Intesa.
Sorprende
peraltro la scarsa conoscenza che i lavoratori possiedono del mobbing,
in quanto evento socialmente rilevante e reato giuridicamente perseguibile.
Carenze giuridiche
Sebbene
il Parlamento non abbia ancora approvato una specifica norma sulla materia (pur
essendo già numerosi i disegni di legge presentati da diverse forze politiche),
esistono infatti parecchi strumenti ai quali fare ricorso per tutelare il
diritto alla salute e alla dignità morale, come dimostrano le prime sentenze
favorevoli a quei dipendenti che hanno “osato” intentare causa per danni
riconducibili al mobbing.
Dove alligna
A
giudizio di chi si è occupato dell’argomento, tra le realtà più colpite in
Italia c’è (insieme a pubblica amministrazione e sanità) proprio il settore del
credito. Le logiche produttivistiche che negli ultimi anni si sono imposte nel
sistema bancario - spingendo in direzione di grossi e talora affrettati
processi di fusione e concentrazione - offrirebbero (secondo alcuni analisti)
terreno fertile al diffondersi di comportamenti più o meno velatamente
aggressivi e antisolidaristici, sia tra lavoratori provenienti da aziende
diverse che nei confronti dei
dipendenti in esubero.
In
effetti, la necessità di ridurre i costi strutturali, in vista di un recupero
accelerato della redditività, passa
spesso attraverso piani drastici di riduzione del personale, per la cui
attuazione le pratiche di mobbing potrebbero risultare congruenti e
funzionali.
In
questi casi ci si troverebbe di fronte a una vera e propria strategia aziendale
- il cosiddetto bossing (da boss = capo) -, utilizzata dalle
imprese per liberarsi dei lavoratori divenuti “superflui” e per ridurre la
consistenza degli esuberi attraverso un certo numero di dimissioni indotte:
insomma, una sorta di licenziamento monetizzato camuffato.
La
presenza attiva del Sindacato in difesa dei lavoratori mobbizzati, e tra essi
in particolare di quelli che subiscono il pressing defatigante delle
aziende che vogliono indurli alle dimissioni, è dunque essenziale.
Una bussola anti Mobbimg
Ma
è altrettanto utile, per i lavoratori, disporre di una sorta di bussola anti-mobbing,
alla quale fare ricorso in caso di necessità (anche per “navigare” nel mare di Internet). Recuperato
il giusto orientamento, spetterà poi alle istituzioni sindacali - chiamate in
causa, insieme ad altri possibili alleati (medici, psicologi, avvocati,
gruppi di aiuto ecc.) - intervenire per tentare di ripristinare lo stato di
legalità e comunque aiutare a recuperare la (eventualmente perduta) umanità di
colleghi, superiori, aziende.
I
quattro punti cardinali della nostra ideale bussola anti-mobbing (da
leggere in coppie simmetriche, Nord-Sud ed Est-Ovest) si possono rappresentare
in questi termini:
Chi
aiuta le vittime Come difendersi
Se con
un binocolo potessimo gettare simultaneamente lo sguardo su mille diversi ambienti di lavoro - dove gli uomini trascorrono
gran parte della loro vita -, non potremmo fare a meno di notare come molti dei
loro comportamenti siano ispirati, più o meno larvatamente, da istinti
aggressivi e di sopraffazione, simili a quelli che guidano la condotta di certe
specie animali.
Non a
caso il termine mobbing -
richiamando gerarchie e conflittualità che spesso sfociano nella
violenza - è stato mutuato dalla etologia. Fu Lorenz infatti che lo utilizzò
per primo nel 1970, indicando la prepotente reazione (dall’inglese to mob
= assalire) mediante la quale alcuni uccelli rispondono alla invasione del
territorio, attaccando in gruppo l’intruso e/o il contendente.
Della
fenomenologia del mobbing in ambiente umano si è occupato per primo lo
psico-sociologo tedesco Heinz Leymann negli anni ’80, distinguendo le
situazioni di ordinaria conflittualità sul lavoro dai trattamenti vessatori e
persecutori che, ripetendosi con frequenza statistica di almeno una volta alla
settimana, per almeno sei mesi, producono gravi conseguenze sulla salute psichica
e fisica dei lavoratori, alla cui progressiva emarginazione essi mirano. Solo
in questo caso si può parlare di mobbing.
L’aggressione
sistematica può essere attuata da colleghi di pari grado, mobbing orizzontale,
o da superiori, mobbing verticale discendente (dal capo verso i
collaboratori); il mobbing verticale può però provenire anche dal basso,
cioè essere indirizzato dai dipendenti verso un superiore “indesiderato” (mobbing
verticale ascendente), la cui vita diverrà un inferno, né più né meno che
quella di un qualunque sottoposto.
Quando
poi la violenza comportamentale è addirittura pianificata, ovvero - come s’è
detto - si inquadra in una precisa e
strisciante strategia aziendale, allora si parla di bossing, pratica non
a caso largamente in uso negli Stati
Uniti.
Di
fronte a situazioni divenute psicologicamente e fisicamente devastanti, le
vittime del mobbing fuggono dai luoghi di lavoro: cedono infatti alla
depressione o alla malattia, oppure presentano le dimissioni o ancora, se
possono, richiedono il pensionamento anticipato.
In ogni
caso i mobbizzati cercano di evitare la condizione conflittuale divenuta
insostenibile tentando ogni possibile via d’uscita e lasciando, in genere,
campo libero ai mobbers, cioè ai loro persecutori.
In
sintesi - sempre che gli eventi
negativi si ripetano con frequenza e si protraggano da almeno sei mesi, recando
pregiudizio alla salute -, si può riconoscere il mobbing nelle seguenti situazioni:
-
quando si
fa il vuoto attorno ad un soggetto, indirizzandogli aggressioni e/o offese più o meno palesi, e assumendo i
classici atteggiamenti di evitamento dell’“appestato”;
-
quando gli
si precludono scientificamente le informazioni aziendali, escludendolo dalle
comunicazioni e dalle notizie di maggiore interesse o rilevanza;
-
quando gli
si affidano compiti astratti o mortificanti, non adeguati né rispondenti al
grado e alle competenze possedute o maturate negli anni;
-
quando si
motiva l’emarginazione con la insussistenza in azienda di incarichi o compiti
equivalenti alla sua professionalità;
-
quando si
causano artatamente situazioni di inedia lavorativa;
-
quando il
lavoratore si vede sottratti mansioni e compiti qualificanti, oppure i
collaboratori che già lo coadiuvavano;
-
quando si
pongono in essere atti di banale quanto devastante ostruzionismo, come quelli
che consistono nel non dotarlo di strumenti elementari di lavoro quali
computer, stampante, carta, penne e persino tavolo e sedia;
-
quando
viene rimarcata la differenza e la sottovalutazione che si ha del soggetto
imponendogli un habitat lavorativo improprio (per es. rumoroso o insalubre),
ovvero segnatamente diverso da quello di altri pari grado (assenza di piante,
quadri o altri oggetti che contrassegnano lo status);
-
quando
vengono diffuse accuse infondate di inefficienza, incompetenza o incapacità a
svolgere il lavoro assegnato;
-
quando
vengono alimentate le maldicenze gratuite e i pettegolezzi sulla vita privata della persona, che
diventa oggetto di ironie e calunnie silenti,
da cui difficilmente potrà difendersi.
A queste
situazioni conflittuali di base - in ognuna delle quali si esercita una sorta
di terrorismo psicologico -, se ne
potrebbero aggiungere molte altre.
Nei
posti di lavoro gli uomini sperimentano infatti, quotidianamente, la illimitata
fantasia dei loro simili: mille diverse occasioni per svalutare, denigrare,
colpevolizzare e ferire i “compagni”,
nella speranza (più o meno consapevole) che ad una caduta di quelli possa
corrispondere una opportunità in più per se stessi.
QUALI
DANNI CAUSA
Il protrarsi
di implacabili iniziative persecutorie ed emarginanti, e il conseguente stato di tensione, ansia,
rabbia (per lo più repressa) in cui il soggetto è costretto a vivere, producono quasi sempre seri danni alla
salute. Si è allora in presenza di una classica vittima del mobbing.
I
disturbi - la cui origine psicosomatica
non attenua certo l’importanza e la serietà del malessere - prediligono, in genere, l’apparato digerente e quello
cardio-respiratorio, oltre al sistema locomotorio e al derma, il quale ultimo
diventa spesso organo bersaglio di varie patologie.
Non a
caso il profondo ed inestricabile legame tra psiche e corpo sta alla base di
parecchie malattie della pelle, diagnosticate e curate con estrema difficoltà.
Anche il
cosiddetto DAP, ovvero la sindrome da attacchi di panico, trova talora le
sue motivazioni inconsce negli stati di
insicurezza e disistima generati da ambienti di lavoro ostili e dannosi.
Numerose
sono comunque le affezioni riferite a interferenze da mobbing. Tra esse,
in particolare: ipertensione arteriosa; tachicardia; tremore; sensazioni di
nodo alla gola o di fame d’aria; sbandamenti e difficoltà di deambulazione;
stanchezza e debolezza; insonnia; mal di schiena; mal di testa o sensazione di
testa compressa; difficoltà di concentrazione; iperidrosi; rossori
incontrollati; abbassamento delle difese immunitarie.
I
sintomi eterogenei di queste malattie rappresentano altrettante vie di fuga
dalla situazione conflittuale e frustrante che vive il lavoratore mobbizzato, tanto più vulnerabile quanto più
debole è la sua personalità.
Al
riguardo, potrà essere utile consultare l’opuscolo “Il fenomeno Mobbing”
curato, per la FABI del Trentino Alto
Adige, dal dott. Luca Carrozzini, psicologo e psicoterapeuta, ex bancario e
sindacalista FABI.
Alla
domanda “Che fare? ” per difendersi dal mobbing, egli in sintesi
risponde:
1)
sapersi
ascoltare, e cioè riconoscere
tempestivamente i segni del disagio fisico e psicologico;
2)
analizzare
le situazioni che vengono vissute in maniera emotivamente distorta;
3)
prendere
nota di ciò che accade, registrando puntualmente i fatti e i loro eventuali testimoni;
4)
non
chiudersi in se stessi, comunicare i
problemi ad amici e parenti, non soccombere di fronte al malessere;
5)
non
lasciarsi intimidire e prepararsi a lottare, facendosi aiutare anche da medici,
psicologi, sindacalisti, avvocati;
6)
tentare la
conciliazione con chi ha iniziato l’azione di mobbing, prima di adire
eventualmente le vie legali.
COME
DIFENDERSI
Le nostre
leggi non contemplano ancora il reato di mobbing. Esistono però diversi
strumenti normativi ai quali fare ricorso per tutelare il diritto alla salute e
garantire il rispetto della dignità umana.
Innanzitutto
vanno richiamati i diritti inviolabili sanciti dalla Costituzione agli articoli
32 (“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto
dell’individuo e interesse della collettività”), e 41 (l’iniziativa
economica privata “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in
modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”).
Altro
importante riferimento alla tutela della salute e dell’integrità fisica si
trova nell’art. 9 dello Statuto dei lavoratori, e indirettamente anche
nell’art. 13 - “Mansioni del lavoratore” (che ha sostituito l’art.
2103 del Codice Civile), per le connessioni che in sede giudiziaria
è possibile stabilire tra l’ingiustificato demansionamento e i danni alla
salute da esso eventualmente causati.
Essenziale
però è soprattutto l’art. 2087 C.C.:
“L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le
misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica,
sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei
prestatori di lavoro”.
Stabilendo
il principio della responsabilità contrattuale dell’imprenditore, esso consente
infatti ai lavoratori - ai quali compete tuttavia l’onere della prova - di
richiedere il risarcimento per le lesioni derivate da eventuali inadempienze
dello stesso.
Non a
caso quindi a tale articolo si è rifatta anche la prima sentenza - emessa dal
Tribunale di Torino il 16 novembre 1999 - che in Italia ha introdotto il
termine mobbing.
Basilare
pure il D.L. n. 626/94 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, al quale la
giurisprudenza può utilmente appellarsi nei casi di lesioni da mobbing.
Al
risarcimento per fatto illecito fa invece riferimento l’art. 2043 C.C.,
insieme all’art. 185 del Codice Penale.
Sempre
in ambito penale, risulta utile il richiamo all’art. 582 C.P. sulle lesioni
personali. In particolare, se la violazione da parte del datore di lavoro degli
obblighi di tutela della salute (ex art. 2087 C.C.) e delle norme che
salvaguardano la professionalità (ex art. 2103 C.C.) causa incidentalmente
danni alla integrità psicofisica dei lavoratori, si potrebbe concretizzare il
reato di lesioni personali colpose, ai sensi dell’ art. 590 C.P. (Cassazione
- Sentenza n. 4012 del 1998).
I
risvolti penali connessi ai reati di vessazione e persecuzione psicologica dovranno
auspicabilmente essere previsti, in chiaro, dalla futura legge sul mobbing
(come del resto indica qualcuno dei disegni - tre alla Camera e due al Senato
- già presentati).
In atto,
infatti, i lavoratori che volessero muovere causa per mobbing, in sede
penale o civile, devono comunque poter provare, eventualmente anche con
testimoni, gli addebiti mossi alla controparte, ad evitare il rischio di
querele per diffamazione, o ancor peggio il licenziamento da parte
dell’azienda.
Che il mobbing
stia però approdando con successo nelle aule giudiziarie, lo dimostra
l’orientamento emerso negli ultimi anni.
Tra le
sentenze più significative segnaliamo:
-
Cass. Sez.
Lavoro n. 475 - 19/1/99: Richiesta da parte dell’azienda di quotidiane visite
di controllo sul lavoratore assente per stato ansioso depressivo;
-
Cass. Sez.
Lavoro n. 12339 - 5/11/99: Risarcimento del danno per infarto miocardico
causato da dequalificazione professionale;
-
Trib.
Torino, Sez. Lavoro I grado - 16/11/99: Risarcimento del danno biologico da “mobbing”;
-
Trib.
Milano, Sez. Lavoro II grado -
26/11/99: Tutela in via d’urgenza della professionalità del giornalista
emarginato dall’attività lavorativa;
-
Cass. Sez.
Lavoro n. 1205 - 29/1/01: Lo “stress da
non lavoro” per demansionamento può causare una sindrome depressiva.
È di
questi giorni la sentenza - emessa dal Tribunale di Forlì - favorevole a un
bancario che aveva accusato di mobbing la Banca Nazionale
dell’Agricoltura (oggi Antonveneta), e che ha ottenuto il risarcimento del
danno biologico, 70 milioni di lire, e il reintegro nel posto di lavoro con le
mansioni svolte all'origine.
PER MAGGIORI DETTAGLI
Chi volesse leggere integralmente le sentenze o documentarsi
meglio, potrà consultare la sezione
lavoro del sito “Legge e Giustizia”, all’indirizzo Internet http://www.legge-e-giustizia.it/fattoediritto.htm, ovvero accedere al sito “La punta
dell’Iceberg”: http://members.xoom.it/icebergpunta/index.html.
Interessante anche il sito “Mobby”: http://www.mobby2000.freeweb.supereva.it/pr03.htm?.p.
CHI
AIUTA LE VITTIME
Il mobbing
in quanto fenomeno e malattia di grande rilevanza sociale (in Paesi come la Svezia, la Francia, la
Germania, la Svizzera ha già trovato ampie tutele giuridico-sanitarie e
sindacali) ha visto sorgere anche in Italia, da un paio d’anni a questa parte,
alcuni centri di sostegno, diversamente attrezzati per fornire consulenza
legale e aiuto psicologico a chi ne avesse bisogno.
Tra essi
segnaliamo:
-
MIMA (“Movimento Italiano Mobbizzati
Associati”), con sede a Roma (Via F.
Meda, 169; tel . 06/4510843);
-
Centro
per la Prevenzione, Diagnosi, Cura e Riabilitazione del Disadattamento
Lavorativo, presso
Clinica del Lavoro “L. Devoto” di Milano (Via San Barnaba 8; tel. 02/57992644);
-
Centro
per il Disadattamento Lavorativo, presso Ospedale Santo Spirito di Roma (per
informazioni. rivolgersi all’ISPESL, tel. 06/44280390);
-
PRIMA, associazione contro mobbing e
stress psicosociale, con sede a Bologna
(Via Tolmino, 14; tel.. 051/6148919);
-
Osservatorio
Nazionale Mobbing-Bossing,
presso Associazione “Ermes”, con sede a Roma (Via A. Poliziano, 8; tel.
06/48906227);
-
Centro
Nazionale Antimobbing,
nato a Catania su iniziativa del Codacons e dell’Adusbef (Via Firenze, 70; tel.
095/370437);
-
Gruppo
di auto-aiuto “Mobby” (tel.
0330/473380), operante a Milano.
Sportelli
sul mobbing risultano aperti
anche a Torino e a Napoli. Informazioni su medici e legali esperti sono reperibili al citato sito de “La Punta
dell’Iceberg”, prima associazione fondata da vittime del mobbing che opera solo su Internet.