Filo diretto
 
di Lodovico Antonini

 

Cose dell’altro mondo
Negli Usa: Merrill Lynch rimborsa 20 mila clienti che hanno pagato “troppe” commissioni

Una società di gestione che rimborsa i clienti perché hanno pagato commissioni “troppo alte”? Cose dell’altro mondo potrebbe pensare qualcuno. No, cose del “mondo nuovo”, gli Stati Uniti d’America, dove l’autorità che tutela i risparmiatori , essendo dotata di poteri reali, è ascoltata dalle società su cui vigila.
Lo “scandalo” dei fondi comuni d’investimento statunitensi sta producendo i primi “frutti” per i risparmiatori. Secondo quanto riportato da Mark Herr, portavoce di Merrill Lynch, al quotidiano "The New York Times", la banca d’affari rimborserà 20 mila clienti che hanno pagato commissioni troppo salate per errori di contabilizzazione.
La cifra complessiva che Merrill rimboserà ai clienti sono undici milioni di dollari.
Nel “vecchio mondo”, in Italia, una cosa del genere sarebbe del tutto inimmaginabile. La Consob non ha poteri reali, non ha i mezzi, e spesso ci viene il sospetto che non abbia neppure la volontà politica di tutelare i risparmiatori.
I casi di risparmio tradito che ci sono stati in Italia (e che continuano a perpetrarsi giorno per giorno) si traducono in inchieste delle quali non si può sapere nulla. Perfino quando queste inchieste si concludono con condanne, passano pochi mesi e tutto si aggiusta per qualche errore formale.
La domanda che ci poniamo è scontata: in Italia c’è la volontà politica di tutelare i risparmiatori o si preferisce utilizzarli solo come argomento per la mera lotta fra gli opposti schieramenti?.

 

ANCORA NUBI SUI FONDI PENSIONE,
ma bisogna puntare comunque sulla previdenza integrativa

Giacomo MelfiSecondo uno studio del National Bureau of Economic Research USA, dal titolo “Retirement and the stock market bubble” (“Le pensioni e la bolla delle borse”), di Alain Gustman e Thomas Steinmeier, i conti del fondo di garanzia dei fondi pensioni a prestazioni definite degli Stati Uniti, circa 32.500, sono passati da un saldo attivo di 7,7 miliardi di dollari di sedici mesi fa a uno negativo di 5,5 miliardi di dollari di adesso.
Inoltre, secondo Morgan Stanley, il deficit previdenziale aggregato della s.p.a. che costituisce l’indice di borsa FTSE 100 è aumentato da 200 milioni di sterline a fine 2001 a 65 miliardi di sterline a fine 2002.
Ancora, il disavanzo previdenziale della British Telecom è passato da 1,3 miliardi di sterline nel marzo 2002 a 6,5 miliardi di dodici mesi dopo. Analoga la situazione dei fondi pensione olandesi.
Alcuni economisti hanno fatto notare come “la caduta delle Borse degli ultimi tre anni ha inciso pesantemente sui fondi pensioni, il cui management ha puntato su guadagni rapidi, mentre ora l’onere dei disavanzi previdenziali sui conti aziendali frena una possibile ripresa delle borse, colpendo pesantemente gli utili”. E hanno sottolineato come “nel mondo delle pensioni non c’è panacea: sistemi misti, in parte a ripartizione, in parte a capitalizzazione, possono attutire il rischio, ma non eliminarlo”.
Di fronte a queste analisi, è ovvio che il sindacato sia alquanto preoccupato e che tenga la guardia ben alzata, anche per quanto riguarda la riforma pensionistica.
Sull’argomento è intervenuto anche Giacomo Melfi, Segretario Nazionale della FABI che, rivolgendosi soprattutto ai giovani, ha dichiarato: “In Italia, solo il 10% dei lavoratori è iscritto a un fondo pensionistico complementare, ma è in questa direzione che bisogna andare. I giovani devono essere informati delle conseguenze che le riforme pensionistiche comportano e bisogna convincerli dell’importanza dei fondi pensione complementari”.
L’esponente sindacale ha poi concluso: “Con la riforma annunciata dal Governo, lo Stato ridurrà le future pensioni dei giovani lavoratori di oggi a circa il 40% del loro ultimo stipendio, per questo non è difficile prevedere conseguenze drammatiche, se non si punterà verso la previdenza complementare, prima di tutto con una legislazione adeguata ed al passo con i tempi, che metta ordine nel settore ed offra garanzie certe agli iscritti”.

 

Banchieri industriali
e industriali banchieri,
un conflitto d’interessi che deve finire

Le banche italiane sono le vere padrone dei gruppi industriali del nostro Paese: intervengono nelle scelte del management, nella definizione dei piani industriali e in ogni decisione di finanza straordinaria. Come ha, infatti, sottolineato il periodico Il Mondo, “il totale delle banche italiane ha un’esposizione verso il mondo corporate, medie e grandi aziende italiane, pari al 53% del totale dei prestiti erogati, mentre il settore pubblico è appena al 5% e i mutui concessi ai privati per l’acquisto di abitazioni non superano il 10%. Uno squilibrio molto forte, che si accentua negli istituti di credito maggiori”.
Tant’è vero che le passività finanziarie delle imprese sono legate per il 45% a prestiti bancari, contro il 15% della Gran Bretagna e il 20% della Francia.
In tal modo, si realizza una commistione fra imprese e istituti di credito, cui è stato dato l’avvio dalla legge Draghi, che ha abrogato una vecchia legge fascista per cui le banche non potevano avere partecipazioni “commerciali”.
Le banche partecipano ai CdA delle imprese; i grandi imprenditori, a loro volta, con i prestiti ottenuti dalle aziende di credito, acquistano partecipazioni nelle banche e siedono nei CdA delle stesse. Su tale conflitto di interessi e, in particolare, sulla presenza di aziende industriali nei CdA degli istituti di credito, il presidente della Commissione Attività produttive della Camera, on. Bruno Tabacci (UDC), ha annunciato la presentazione di un disegno di legge. “Il conflitto di interessi - spiega Tabacci - consiste nel fatto che molti di coloro che siedono nei consigli di amministrazione delle banche sono anche i beneficiari dei finanziamenti bancari”.
L’iniziativa di Tabacci ha ottenuto anche l’appoggio del presidente della Commissione Finanze della Camera, on. Giorgio La Malfa (PRI), e dell’on. Antonio Maccanico (Margherita). Il leader del PRI, infatti, ha commentato: “Imprese indebitate con le banche diventano azioniste delle banche medesime, con il risultato che le banche controllano se stesse. Lo stesso meccanismo che portò al crac degli anni Trenta”.
Anche l’amministratore delegato di UniCredito, Alessandro Profumo, ha sostenuto che “le banche non devono avere un ruolo diretto nelle imprese”, mentre, rispetto alla presenza di industriali nei CdA delle banche, ha commentato: “Il problema esiste, ma c’è anche una legge, che è molto chiara. Inutile chiamare in causa la vigilanza, è il CdA che deve intervenire”.
Sull’argomento, purtroppo di tragica attualità, è intervenuta anche la Segreteria Nazionale della FABI che, per bocca di Enrico Gavarini ha sottolineato non solo l’importanza di maggiore chiarezza nei rapporti fra banche ed imprese, ma anche la necessità di un comportamento “etico” delle banche, “che devono selezionare meglio gli strumenti finanziari che propongono ai risparmiatori. L’Autorità di vigilanza, in particolare, deve fare il suo lavoro, e non solo in termini burocratici, per verificare se le norme sono state seguite attentamente. Non ci deve essere, cioè, solo vigilanza ragionieristica, ma anche etica”.
Sull’atteggiamento delle banche, il Segretario Nazionale ha poi concluso: “L’assicurazione del presidente dell’ABI, Maurizio Sella, secondo cui ‘ogni industriale che partecipa a un CdA di una banca, quando si discute di un suo eventuale fido, esce sala’, ci fa sorridere”. “Se fosse vero – ha detto ironico Gavarini - i Consigli d’Amministrazione delle banche andrebbero deserti. Ma non è questo il punto: il punto è la responsabilità sociale delle banche”.

 

Sempre maggiori preferenze per la
finanza etica

A
i risparmiatori italiani piace la finanza etica. Secondo l’Associazione Finanza Etica (AFE), infatti, il patrimonio complessivo dei fondi etici ammonta a oltre 2.700 milioni di euro, mentre, secondo una ricerca del CENSIS, nel 2002, il 4,8% degli Italiani ha aperto un conto corrente in una banca etica o ha acquistato quote di un fondo di investimento socialmente responsabile.
Segno, dunque, di un nuovo modo di concepire l’economia e di intendere lo sviluppo, attento non solo alla destinazione degli investimenti, ma anche alla promozione di nuove forme di imprenditorialità etica. Dopo i casi dei bond Cirio e Parmalat, delle obbligazioni argentine e “MyWay - ForYou”, dunque, i risparmiatori italiani cominciano a dimostrare una sempre maggiore sensibilità verso prodotti e fondi di investimento alternativi al sistema finanziario tradizionale.
Sapranno fare altrettanto le banche?
 

Nel 2003 rallentamento del calo
dell’occupazione.
Lieve crescita nel 2004?

Secondo i dati ISTAT, il calo del lavoro dipendente è sceso al di sotto dell'1%. L'andamento negativo dell'occupazione, dovuto ai contraccolpi della scarsa vivacità della nostra economia e agli effetti dei vasti processi di ristrutturazione in atto, si sta, per la prima volta dal febbraio 2003, attenuando.
L'Istituto Nazionale di Statistica sottolinea che la diminuzione riguarda principalmente il settore dell'industria, mentre, per quanto concerne il settore dei servizi, stiamo assistendo addirittura a un periodo di nuove assunzioni.
Il miglioramento complessivo registrato nel corso dell'anno passato dal mercato del lavoro, inoltre, sta iniziando a riguardare anche le maxi imprese, che, nonostante debbano ancora fare i conti con gli strascichi di una congiuntura negativa, iniziano a intravedere uno spiraglio di luce. Il rallentamento della tendenza al calo dell'occupazione, infatti, potrebbe trasformarsi in lieve crescita nel 2004.
A suffragare quanto sostiene l'ISTAT ci sono anche altri dati.
A ottobre 2003 nelle grandi industrie si è registrata una flessione degli occupati dipendenti del 2,9% su base annua, mentre nel settore dei servizi si è verificata una crescita dello 0,3% sempre su base annua.
La dinamica del mercato del lavoro italiano, che si conferma in controtendenza con la stagnazione dell'economia, è dunque moderatamente positiva.
La dinamica dell'occupazione è senza dubbio rilevante in rapporto alla notevole decelerazione dell'attività economica: le variazioni tendenziali annue da aprile (+1,4%) a luglio (+1,0%) e ottobre (+0,9%) si confermano abbastanza sensibili e continuano a mostrarsi molto elastiche rispetto al Pil, in crescita appena sopra lo zero nello stesso periodo.
L'aumento dei posti di lavoro riguarda in prevalenza gli occupati dipendenti ed è soprattutto dovuto, nella seconda metà dell'anno, ai contratti a tempo parziale e a quelli a termine, mentre si riduce ulteriormente la disoccupazione, che è scesa all'8,5%, il livello più basso degli ultimi dieci anni.
Anche il confronto con l'Europa, non ci penalizza. Il tasso di occupazione (la percentuale di occupati sulla popolazione in età lavorativa, 15-64 anni) è pari in Italia al 56% nella media del 2003, a fronte del 65% circa in Germania, del 60% in Francia, del 70% in Gran Bretagna e del 75% negli Stati Uniti.
Nel complesso, quindi, si inizia a percepire un piccolo segnale di ripresa che, secondo gli esperti, si consoliderà nel corso del 2004.

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