di Lodovico Antonini      
DOPO IL CRAC PARMALAT
Carlo Giorgetti, Segretario Generale della Fabi   “Non servono pene più severe, ma una riforma che tuteli i risparmiatori”  
 

“La mala finanza è il frutto di un sistema che in un certo senso legittima le operazioni più spericolate anche quando queste vanno a danno non solo dei più ingenui risparmiatori, ma anche di quelle istituzioni, come ad esempio i fondi pensione, che hanno un ruolo sociale”.
Ad esprimere questa amara constatazione è Carlo Giorgetti, Segretario Generale della Fabi.
La vicenda dei bond Parmalat, dopo quelle dei bond argentini e Cirio, continuano ad animare il dibattito politico e sindacale.
Si va da chi chiede un forte giro di vite e norme più severe a chi, auspicando un liberismo senza regole, ritiene inutile l’inasprimento delle pene nei confronti dei più spericolati e avventurosi finanzieri della new age, della globalizzazione dell’economia, non più fondata sulla produzione bensì sulle manovre borsistiche planetarie.
La questione non ha caratteri esclusivamente penali, ma soprattutto di profonda riforma del sistema della finanza globale.
“La Fabi – ha concluso Giorgetti - ritiene che occorra introdurre una regolamentazione tale che, pur salvaguardando la dinamica del mercato, tuteli i risparmiatori, i cui investimenti potrebbero venir meno se non adeguatamente protetti. Altrimenti si correrà il rischio della desertificazione della finanza e della ricomparsa di quelle condizioni che provocarono la grande crisi del ’29”.

 
     
 CRAC PARMALAT
Lavoratori incolpevoli
Comunicato della
Segreteria Nazionale 

La vicenda Parmalat mostra chiaramente come sia indispensabile creare un sistema con controlli più sicuri a favore dei risparmiatori. È altrettanto chiaro però che a pagare un prezzo alto non possono essere chiamati i lavoratori del credito del tutto incolpevoli per la situazione venutasi a creare. Per altro è proprio grazie alla consapevolezza ed al senso di responsabilità dimostrato dai lavoratori del settore che le banche hanno potuto superare la crisi degli anni ’90. Il contratto collettivo nazionale di lavoro stipulato nel 1999 dalla Fabi e dai Sindacati Confederali di settore rappresenta la sintesi della volontà delle parti di costruire un percorso virtuoso. Tale percorso a distanza di quasi 5 anni si dimostra ancora valido e rappresenta un momento significativo per la vita dei lavoratori del credito poiché ha realizzato importanti tutele sotto il profilo occupazionale.



 
  “Bipop Carire, tardivi
gli accertamenti di Bankitalia”
 
 

"Nel caso Bipop Carire s.p.a. (la banca derivante dalla fusione per incorporazione della Cassa di Risparmio di Reggio Emilia s.p.a. nell’allora Banca Popolare di Brescia), che ha determinato gravi conseguenze sui risparmiatori, l’avvio degli accertamenti ispettivi della Banca d’Italia fu tardivo”. È quanto si legge in una interrogazione al Ministro dell’Economia e delle Finanze, che sollecita, pertanto, “un intervento del Governo per tutelare i piccoli risparmiatori esposti a rischi insostenibili”, nonché “iniziative normative per garantire una corretta informazione e tutela dell’azionariato diffuso”.
“L’ispezione della Banca d’Italia in Bipop Carire – ha confermato Carola Tessadri, Responsabile del Coordinamento Fabi di Bipop Carire - iniziò il 24 ottobre 2001, a distanza di quasi cinque anni dall’ispezione del 1997 (nella quale erano state segnalate gravi carenze strutturali e organizzative alla Banca Popolare di Brescia) e dopo oltre sei mesi dalla denuncia di gravi irregolarità nella gestione della banca da parte di alcuni consiglieri della banca stessa.”.
“Da quanto mi risulta – ha concluso Carola Tessadri – Bankitalia non ha mai controllato che ai suoi rilievi seguissero poi interventi correttivi da parte della banca”.

 
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Multinazionali battono stati
sovrani 53 a 47
 

“Delle cento più grandi economie del mondo, solo 47 sono Stati nazione, la maggioranza, 53, sono multinazionali. Assieme formano una superpotenza capace di competere con gli USA e la UE”. È quanto si legge in una nota del periodico Il Mondo, dove si spiega anche che “il loro leader è la Exxon Mobil, il cui fatturato supera il prodotto interno lordo di 200 dei 220 paesi esistenti”.
“Le multinazionali impiegano oltre 90 milioni di persone in tutto il mondo e pagano annualmente oltre 1.500 miliardi di dollari in stipendi e salari e oltre 1.200 miliardi di dollari in tasse. Complessivamente, sono quasi 70mila; le prime mille forniscono l’80% della produzione industriale mondiale. Delle 500 più importanti, 185 sono americane, 126 sono europee, 108 sono giapponesi, le altre di altri paesi”.

   
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  Banca d’Italia partecipata
al 25% da gruppi bancari
nazionali
 
 

Molti organi di stampa nazionali hanno sostenuto che la Banca d’Italia è partecipata per il 25% da alcuni grandi gruppi bancari nazionali, quali Unicredito, Capitalia e Banca Intesa.
“Un simile stato di cose è contrario a tutti i principi di una corretta divisione dei ruoli tra controllore e controllato” – ha dichiarato Gianfranco Amato, Segretario Generale Aggiunto della FABI.
Amato, inoltre, ha sottolineato come, nei gravi dissesti finanziari dei gruppi Cirio e Parmalat, “i principali enti pubblici di vigilanza, quali la Banca d’Italia e la Consob, sono apparsi, date le attuali prerogative, del tutto inadeguati a svolgere un’effettiva azione di tutela preventiva del pubblico risparmio. Da ciò scaturisce, di conseguenza, l’urgente ed inderogabile necessità di una rivisitazione sistematica delle competenze, delle attribuzioni, dei compiti ispettivi e di controllo e dei poteri sanzionatori”.
Oltre a ciò, il l’esponente sindacale ha sostenuto che “la piattaforma rivendicativa per il prossimo rinnovo del CCNL del settore credito prevede, secondo un nuovo concetto di responsabilità sociale delle aziende, precise tutele per gli addetti, che ora sono coinvolti – loro malgrado – nelle indagini della Magistratura sulla vendita dei bond Parmalat e sulla vendita di prodotti finanziari ad alto rischio”.

 
 
Perché nessuno parla degli strumenti di finanza derivata
nello scandalo di Parmalat?

La truffa dei 14 miliardi di euro di bond della Parmalat ai danni degli investitori e dei risparmiatori sta venendo a galla con tutta la sua drammaticità. Ma della vera truffa speculativa globale intorno ai bond nessuno ha avuto ancora il coraggio di dire che si tratta di una dimensione da crisi finanziaria sistemica.
Come ha riportato la stampa italiana, Callisto Tanzi durante un interrogatorio avrebbe detto che nel giugno 2003, cioè quando l’insolvenza della Parmalat era già nota nei circoli della grande finanza, “il direttore finanziario della Parmalat venne contattato da un dirigente della Morgan Stanley Italia che disse che c’era un investitore istituzionale che voleva investire 300 milioni di euro in obbligazioni e chiedeva se noi fossimo interessati all’affare”.
Perchè la Morgan Stanley allora e altre banche come la JP Morgan, la Bank of America, la Citigroup o la Deutsche Bank poco prima avevano acquistato altri grossi pacchetti di bond della Parmalat per parecchie centinaia di milioni di dollari?.
Questi signori sapevano molto meglio della Banca d’Italia, della Consob o del Tesoro della vera situazione debitoria e fallimentare della Parmalat.
Perché allora?
La risposta si chiama: Collateral Debt Obbligations (CDO), Obbligazioni di Debito Collateralizzato. In altre parole sono dei titoli derivati e cioè emessi proprio sulla base di questo tipo di bond (una combinazione Parmalat e altri bond, ad esempio) e poi venduti a fondi di investimento e ad altri acquirenti.
Strumenti di speculazione finanziaria, un gioco d’azzardo purtroppo permesso dalle autorità monetarie. Questo settore di speculazione pura , insieme a quello dei titoli immobiliari, è molto cresciuto dopo il crollo della New Economy del 2001. E le banche coinvolte nella Parmalat, come sempre, sono al comando anche nel campo dei CDO. Secondo il Comptroller of the Currency USA a giugno 2003 la JP Morgan aveva 460
miliardi di dollari di CDO con un aumento rispetto all’anno precedente del 51%, la Citigroup con 152 miliardi (+ 30% e la Bank of America 123 miliardi (+ 67%)”.

 
 
CARO PREZZI
Cinque proposte della Fabi per bloccarlo

Matteo ValentiL’impatto del blocco delle tariffe è stato nullo, visto che l’ISTAT rileva, nel 2003 rispetto al 2002, un aumento medio del 4,1% sui servizi di raccolta rifiuti, il 3,4% per l’acqua potabile, il 5,1% per il gas, il 6,7% per i pedaggi autostradali, il 4,5% sui trasporti urbani, il 26% sui servizi bancoposta e il 7,3% sull’istruzione secondaria.
Che cosa propone di fare la FABI per risolvere il problema del continuo aumento dei prezzi?
Il Segretario Nazionale della FABI, Matteo Valenti, lo ha sintetizzato in cinque punti:
“1) rafforzamento dell’Autorità del Garante per la Concorrenza e il Mercato, da sostenere a livello territoriale con gli Uffici territoriali del Governo (UTG), in cui far confluire le segnalazioni delle Associazioni dei consumatori;
2) istituzione, presso la Guardia di Finanza, di uno speciale corpo di "ispettori dei prezzi", con compiti di accertamento di rincari anomali;
3) riforma del price cap;
4) modifica della legge Bersani sulla riforma del commercio;
5) contenimento delle tariffe nell’ambito dell’inflazione programmata”.