Il
compito pregnante e sempre impegnativo di guardare al futuro e quindi
alle possibili, percorribili iniziative nella direzione della maggior
visibilità e funzionalità del Coordinamento Nazionale Personale
Femminile Fabi, non ci ha impedito, anche nella faticosa fase congressuale,
di dare la dovuta continuità all’azione umanitaria definita
“Progetto Most “.
A distanza di oltre due anni dalla identificazione del progetto che ha
visto il Coordinamento Femminile, di fatto “adottare” l’orfanotrofio
Centar Most in Bosnia-Erzegovina allo scopo di portare aiuto materiale
e morale a donne e bambini vittime della guerra, siamo in grado di osservare
i risultati ottenuti sul piano del miglioramento della qualità
della vita di quei bambini e delle giovani donne, molto spesso ragazze
madri, che transitano per Most.
Queste ultime quasi sempre sopportano il peso dei traumi sociali postbellici
e di discriminazioni storiche ed è conseguentemente all’azione
umanitaria promossa dalla nostra Organizzazione che si sono attivate iniziative
finalizzate al loro reinserimento sociale e ad una qualche forma di qualificazione
professionale.
Durante l’anno 2003 alcuni rappresentanti del Coordinamento Femminile
del Comitato Volontari Fabi hanno potuto osservare, in occasione delle
loro ricognizioni in loco, l’evoluzione delle misure e delle scelte
adottate dal management di Most, l’utilizzo dei fondi stanziati
con particolare attenzione al “quid“ impiegato per la formazione
di professionalità necessarie alla medesima struttura che accoglie
le donne ed i bambini.
Crediamo sia utile far presente in questa sede, onde permettere a chi
legge di comprendere appieno il contesto al quale ci riferiamo, che la
Bosnia-Erzegovina sta ancora pagando il prezzo altissimo di una guerra
catastrofica che ha perduto dopo aver subita la più brutale delle
aggressioni.
La ricostruzione appare lenta e quasi inesistente in gran parte del territorio
desertificato e minato, le istituzioni sono poco rappresentative e non
funzionali al contesto sociale, basti pensare che retribuzioni, assegni
di pensione sociale e rimborsi per assistenza medica arrivano con mesi
di ritardo o non arrivano mai.
Situazioni, queste descritte sopra, oggettivamente simili in tutti i paesi
dove guerre distruttive del tessuto sociale e di tutto il resto hanno
lasciato sul loro percorso miserie endemiche.
La guerra in Bosnia è finita.
La sofferenza che essa ha prodotto è ancora presente.
E’ in questo difficile contesto, improbabile da essere compreso
appieno nella miriade di contraddizioni che lo compongono, che ha operato
il Coordinamento Femm.le fornendo risorse economiche ed umane e approntando
le strategie che servivano. Il Comitato Volontari, dal canto suo, ha messo
a disposizione la conoscenza del territorio e l’operatività
indispensabile.
Ci sembra opportuno osservare che l’operazione nel suo complesso
è riuscita.
Operazione faticosa e difficile, non aliena da rischi: precari i collegamenti
e le forme di comunicazione con una realtà che sembra molto vicina
a noi, così europea, in realtà distante anni luce.
Il nostro
compito in Bosnia sta per finire.
La visione retrospettiva delle tante vicende che ci hanno visti duramente
impegnati in quella terra piena di echi e ricordi dolorosi, ci fanno dire
serenamente che ne valeva la pena.
Altre guerre appestano l’aria che respiriamo e ci occludono l’orizzonte,
altri palcoscenici tutti eguali, con le stesse cose strazianti.
Sappiamo che alcuni potrebbero avanzare l’obiezione che, di fronte
alla dimensione della sciagura cosmica chiamata guerra, tutte le iniziative
come la nostra non hanno significato, o sono, di per sé, irrilevanti.
Serve molta forza anche per battere questa convinzione che pure non ci
appartiene. Questa forza noi la possediamo, la coltiviamo con amore, la
abbiamo umilmente adoperata per quei bambini e quelle donne e ne siamo
fiere.
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