a di Sofia Cecconi consulente legale Fabi nazionale      
Le novità introdotte dalla legge Biagi - Lavoro a tempo parziale
 
* La normativa
sul lavoro
a tempo parziale (d.lgs. 25
febbraio
2000 n. 61 e successive modifiche), nonché la circolare del Ministero del lavoro n. 9/04 esplicativa
delle modifiche apportate
dal d.lgs.
276/03 sono consultabili per esteso sul sito www.welfare.
gov.it
 
   

Come è noto il decreto legislativo n. 276 del 2003, in attuazione della legge delega n. 30 del 2003, ha introdotto significative novità in materia di lavoro. Abbiamo chiesto al nostro Ufficio Legale di commentare, con specifici interventi, la disciplina di alcuni istituti (part-time, lavoro a progetto, lavoro occasionale, lavoro intermittente, distacco, lavoro ripartito, lavoro a chiamata e la somministrazione) per i quali i nostri lettori hanno manifestato, attraverso le numerose richieste pervenute alla redazione della rivista ed all’ufficio legale, un particolare interesse.

1 Il lavoro a tempo parziale era già regolato dalle disposizioni dell’art. 5 della legge n. 863 del 1984. In questo quadro era intervenuta la direttiva comunitaria n. 81 del 1997, attuativa dell’accordo quadro europeo del 6 giugno del 1997, a cui il nostro Paese si era adeguato con il decreto legislativo n. 61 del 2000, emanato in attuazione della legge delega n. 25 del 1999. Tale disciplina era stata poi ulteriormente, anche se minimamente, corretta dal decreto legislativo n. 100 del 2001.

2 A poca distanza di tempo, l’art. 46 del decreto legislativo n. 276 del 2003 interviene nuovamente a disciplinare la materia, apportando novità piuttosto rilevanti. In primo luogo, è stata introdotta, accanto alle definizioni di lavoro a tempo parziale di tipo “verticale” (con prestazioni lavorative concentrate in un determinato periodo dell’anno, del mese o della settimana) e di tipo “orizzontale” (quando il lavoro è distribuito su tutte le giornate lavorative della settimana), quella di tipo “misto”, la quale, altro non è, che la combinazione delle due tipologie preesistenti.
Tuttavia, gli interventi più importanti sono altri e vanno in tre direzioni:
agevolare il ricorso al lavoro supplementare e straordinario, nei limiti previsti dalla contrattazione collettiva;
flessibilizzare, sempre in conformità alla disciplina collettiva, la collocazione temporale e la durata della prestazione lavorativa;
creare una casistica per le ipotesi privilegiate di la trasformazione - a richiesta del lavoratore - del rapporto a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, e viceversa.

3 Quanto al primo aspetto, quello del lavoro aggiuntivo, conviene ricordare che il datore di lavoro può richiedere prestazioni di lavoro eccedente quello originariamente concordato nel contratto di lavoro: questo lavoro eccedente è definito supplementare, se la prestazione viene resa oltre il tempo parziale, ma entro il tempo pieno; è definito invece lavoro straordinario, quando la prestazione ecceda il tempo pieno. La prima ipotesi, pertanto, si verificherà prevalentemente nel caso di part-time orizzontale, mentre la seconda troverà applicazione nelle fattispecie del part-time verticale o misto.
Anteriormente alla novella del 2003, la prestazione del lavoro supplementare da parte del lavoratore in part-time, il cui numero massimo di ore e le relative causali dovevano essere fissate dai contratti collettivi, era possibile esclusivamente con il consenso del lavoratore medesimo. Diversamente, a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 276/2003, il consenso del lavoratore si rende necessario solo in assenza di disciplina collettiva, che definisca limiti e causali, sebbene l’eventuale rifiuto non giustifichi il licenziamento del lavoratore (art.3 comma 2 e 3 del d.lgs. n.61/2000, come modificato dall’art.46 del d.lgs. n.276/2003).
La circolare n. 9 del 18 marzo 2004 del Ministero del Lavoro ha inoltre chiarito che la disciplina del lavoro supplementare è immediatamente applicabile e che decadono tutte le clausole dei contratti collettivi (nazionali, territoriali o aziendali) vigenti alla entrata in vigore del d.lgs. n. 276 del 2003 (24/102003) incompatibili con la nuova disciplina di legge, ovvero stipulate sul presupposto o comunque in applicazione della coeva normativa legale. Verranno meno altresì le clausole dei contratti individuali apposte in applicazione della disciplina collettiva oramai caducata.

4 Quanto al secondo aspetto, quello della flessibilità dell’orario, una modifica ancora più significativa è data dalla facoltà delle parti di prevedere il potere del datore di lavoro di variare la collocazione temporale della prestazione (clausole flessibili) o di aumentare la durata della prestazione nei rapporti di tipo verticale o misto (clausole elastiche).
La nuova disciplina infatti, introduce la distinzione tra clausole flessibili, che consentono al datore di lavoro di variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa senza modificarne la durata, e le clausole elastiche, che invece comportano una variazione in aumento della prestazione lavorativa, riguardanti unicamente il part-time verticale o misto.
Sarà sempre la contrattazione collettiva a determinare limiti, modalità, specifiche compensazioni e situazioni che consentono al datore di lavoro di variare collocazione e durata della prestazione.
In assenza di disposizioni della contrattazione collettiva il datore di lavoro e i lavoratori potranno concordare direttamente l'adozione di clausole elastiche o flessibili.
La comunicazione della variazione di collocazione o di durata della prestazione deve essere effettuata secondo il preavviso stabilito dalla legge (di almeno 2 giorni, mentre in precedenza il preavviso era di 10 giorni) o dall’autonomia privata.
Il consenso del lavoratore a modificare l'orario di lavoro deve essere espresso mediante patto scritto, valido anche se prestato contestualmente all'assunzione e, se il lavoratore lo richiede, con l'assistenza di un rappresentante sindacale aziendale.
Il lavoratore non potrà più esercitare la revoca del patto prevista dalla disciplina previgente in caso di esigenze familiari, di salute e lavorative. La riforma ha infatti eliminato il c.d. “diritto di ripensamento” del lavoratore.

5 Con riferimento poi al terzo aspetto, ovvero la possibilità di trasformare a tempo parziale il rapporto a tempo pieno e viceversa, la legislazione previgente prevedeva un diritto di precedenza in favore del lavoratore a tempo parziale, nel caso in cui il datore di lavoro intendesse assumere, in unità produttive site entro 50 Km, un lavoratore a tempo pieno per lo svolgimento di mansioni almeno equivalenti.
Il nuovo decreto subordina il diritto di precedenza alla eventuale previsione, in tal senso, da parte del contratto individuale. Inoltre l'esercizio di detto diritto riguarda unità produttive ubicate nello stesso Comune in cui è adibito il lavoratore a tempo parziale.
Per il caso simmetrico, originariamente era previsto che il datore di lavoro potesse respingere la richiesta di un lavoratore a tempo pieno di trasformare a tempo parziale il proprio rapporto a fronte della programmata assunzione di personale part-time in unità produttive ubicate nello stesso ambito comunale; tuttavia a fronte di una specifica richiesta da parte del lavoratore, il datore di lavoro doveva rendere adeguata motivazione. Il decreto legislativo n. 276/03 prevede invece solamente l'obbligo di prendere in considerazione la richiesta del lavoratore, mentre è stata abrogata la norma nella parte che richiedeva la motivazione del rifiuto.
E' anche prevista una nuova ipotesi di trasformazione del rapporto, ma solo per una particolare categoria di lavoratori. Infatti, i lavoratori affetti da patologie oncologiche accertate, che siano in grado di prestare un'attività lavorativa ridotta, hanno diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale di tipo orizzontale o verticale. Su richiesta del lavoratore il rapporto può essere poi nuovamente riportato a tempo pieno.

6 Ultima, non meno significativa, modifica riguarda l'impossibilità di computare i lavoratori a tempo parziale come unità intere ai fini dell'applicabilità del titolo III dello statuto dei lavoratori.
Prima della riforma operata dal decreto legislativo n. 267/2003, il II comma dell’art. 6 del d.lgs. n.61/2001, stabiliva : “Ai soli fini dell’applicabilità della disciplina di cui al titolo III della legge 20 maggio 1970, n.300, e successive modificazioni, i lavoratori a tempo parziale si computano come unità intere, quale che sia la durata della loro prestazione lavorativa”.
L’art. 46 del d.lgs. n.276/2003 ha abrogato tale comma e, di conseguenza, il computo dei lavoratori con contratto di lavoro part-time avverrà, anche per i fini e gli effetti di cui alla legge n.300/70, con le modalità previste dal primo comma dell’art. 6 del d.lgs. n. 61/2000, ovvero in proporzione all’orario effettivo di lavoro.