Come
è noto il decreto legislativo n. 276 del 2003, in attuazione della
legge delega n. 30 del 2003, ha introdotto significative novità
in materia di lavoro. Abbiamo chiesto al nostro Ufficio Legale di commentare,
con specifici interventi, la disciplina di alcuni istituti (part-time,
lavoro a progetto, lavoro occasionale, lavoro intermittente, distacco,
lavoro ripartito, lavoro a chiamata e la somministrazione) per i quali
i nostri lettori hanno manifestato, attraverso le numerose richieste pervenute
alla redazione della rivista ed all’ufficio legale, un particolare
interesse.
1 Il lavoro a tempo parziale era già
regolato dalle disposizioni dell’art. 5 della legge n. 863 del 1984.
In questo quadro era intervenuta la direttiva comunitaria n. 81 del 1997,
attuativa dell’accordo quadro europeo del 6 giugno del 1997, a cui
il nostro Paese si era adeguato con il decreto legislativo n. 61 del 2000,
emanato in attuazione della legge delega n. 25 del 1999. Tale disciplina
era stata poi ulteriormente, anche se minimamente, corretta dal decreto
legislativo n. 100 del 2001.
2 A poca distanza di tempo, l’art.
46 del decreto legislativo n. 276 del 2003 interviene nuovamente a disciplinare
la materia, apportando novità piuttosto rilevanti. In primo luogo,
è stata introdotta, accanto alle definizioni di lavoro a tempo
parziale di tipo “verticale” (con prestazioni lavorative concentrate
in un determinato periodo dell’anno, del mese o della settimana)
e di tipo “orizzontale” (quando il lavoro è distribuito
su tutte le giornate lavorative della settimana), quella di tipo “misto”,
la quale, altro non è, che la combinazione delle due tipologie
preesistenti.
Tuttavia, gli interventi più importanti sono altri e vanno in tre
direzioni:
• agevolare il ricorso al lavoro supplementare
e straordinario, nei limiti previsti dalla contrattazione collettiva;
• flessibilizzare, sempre in conformità
alla disciplina collettiva, la collocazione temporale e la durata della
prestazione lavorativa;
• creare una casistica per le ipotesi
privilegiate di la trasformazione - a richiesta del lavoratore - del rapporto
a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, e viceversa.
3 Quanto al primo aspetto, quello del
lavoro aggiuntivo, conviene ricordare che il datore di lavoro può
richiedere prestazioni di lavoro eccedente quello originariamente concordato
nel contratto di lavoro: questo lavoro eccedente è definito supplementare,
se la prestazione viene resa oltre il tempo parziale, ma entro il tempo
pieno; è definito invece lavoro straordinario, quando la prestazione
ecceda il tempo pieno. La prima ipotesi, pertanto, si verificherà
prevalentemente nel caso di part-time orizzontale, mentre la seconda troverà
applicazione nelle fattispecie del part-time verticale o misto.
Anteriormente alla novella del 2003, la prestazione del lavoro supplementare
da parte del lavoratore in part-time, il cui numero massimo di ore e le
relative causali dovevano essere fissate dai contratti collettivi, era
possibile esclusivamente con il consenso del lavoratore medesimo. Diversamente,
a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 276/2003,
il consenso del lavoratore si rende necessario solo in assenza di disciplina
collettiva, che definisca limiti e causali, sebbene l’eventuale
rifiuto non giustifichi il licenziamento del lavoratore (art.3 comma 2
e 3 del d.lgs. n.61/2000, come modificato dall’art.46 del d.lgs.
n.276/2003).
La circolare n. 9 del 18 marzo 2004 del Ministero del Lavoro ha inoltre
chiarito che la disciplina del lavoro supplementare è immediatamente
applicabile e che decadono tutte le clausole dei contratti collettivi
(nazionali, territoriali o aziendali) vigenti alla entrata in vigore del
d.lgs. n. 276 del 2003 (24/102003) incompatibili con la nuova disciplina
di legge, ovvero stipulate sul presupposto o comunque in applicazione
della coeva normativa legale. Verranno meno altresì le clausole
dei contratti individuali apposte in applicazione della disciplina collettiva
oramai caducata.
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Quanto al secondo aspetto, quello della flessibilità dell’orario,
una modifica ancora più significativa è data dalla facoltà
delle parti di prevedere il potere del datore di lavoro di variare la
collocazione temporale della prestazione (clausole flessibili) o di aumentare
la durata della prestazione nei rapporti di tipo verticale o misto (clausole
elastiche).
La nuova disciplina infatti, introduce la distinzione tra clausole flessibili,
che consentono al datore di lavoro di variare la collocazione temporale
della prestazione lavorativa senza modificarne la durata, e le clausole
elastiche, che invece comportano una variazione in aumento della prestazione
lavorativa, riguardanti unicamente il part-time verticale o misto.
Sarà sempre la contrattazione collettiva a determinare limiti,
modalità, specifiche compensazioni e situazioni che consentono
al datore di lavoro di variare collocazione e durata della prestazione.
In assenza di disposizioni della contrattazione collettiva il datore di
lavoro e i lavoratori potranno concordare direttamente l'adozione di clausole
elastiche o flessibili.
La comunicazione della variazione di collocazione o di durata della prestazione
deve essere effettuata secondo il preavviso stabilito dalla legge (di
almeno 2 giorni, mentre in precedenza il preavviso era di 10 giorni) o
dall’autonomia privata.
Il consenso del lavoratore a modificare l'orario di lavoro deve essere
espresso mediante patto scritto, valido anche se prestato contestualmente
all'assunzione e, se il lavoratore lo richiede, con l'assistenza di un
rappresentante sindacale aziendale.
Il lavoratore non potrà più esercitare la revoca del patto
prevista dalla disciplina previgente in caso di esigenze familiari, di
salute e lavorative. La riforma ha infatti eliminato il c.d. “diritto
di ripensamento” del lavoratore.
5 Con riferimento poi al terzo aspetto,
ovvero la possibilità di trasformare a tempo parziale il rapporto
a tempo pieno e viceversa, la legislazione previgente prevedeva un diritto
di precedenza in favore del lavoratore a tempo parziale, nel caso in cui
il datore di lavoro intendesse assumere, in unità produttive site
entro 50 Km, un lavoratore a tempo pieno per lo svolgimento di mansioni
almeno equivalenti.
Il nuovo decreto subordina il diritto di precedenza alla eventuale previsione,
in tal senso, da parte del contratto individuale. Inoltre l'esercizio
di detto diritto riguarda unità produttive ubicate nello stesso
Comune in cui è adibito il lavoratore a tempo parziale.
Per il caso simmetrico, originariamente era previsto che il datore di
lavoro potesse respingere la richiesta di un lavoratore a tempo pieno
di trasformare a tempo parziale il proprio rapporto a fronte della programmata
assunzione di personale part-time in unità produttive ubicate nello
stesso ambito comunale; tuttavia a fronte di una specifica richiesta da
parte del lavoratore, il datore di lavoro doveva rendere adeguata motivazione.
Il decreto legislativo n. 276/03 prevede invece solamente l'obbligo di
prendere in considerazione la richiesta del lavoratore, mentre è
stata abrogata la norma nella parte che richiedeva la motivazione del
rifiuto.
E' anche prevista una nuova ipotesi di trasformazione del rapporto, ma
solo per una particolare categoria di lavoratori. Infatti, i lavoratori
affetti da patologie oncologiche accertate, che siano in grado di prestare
un'attività lavorativa ridotta, hanno diritto alla trasformazione
del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale di tipo
orizzontale o verticale. Su richiesta del lavoratore il rapporto può
essere poi nuovamente riportato a tempo pieno.
6 Ultima, non meno significativa, modifica
riguarda l'impossibilità di computare i lavoratori a tempo parziale
come unità intere ai fini dell'applicabilità del titolo
III dello statuto dei lavoratori.
Prima della riforma operata dal decreto legislativo n. 267/2003, il II
comma dell’art. 6 del d.lgs. n.61/2001, stabiliva : “Ai soli
fini dell’applicabilità della disciplina di cui al titolo
III della legge 20 maggio 1970, n.300, e successive modificazioni, i lavoratori
a tempo parziale si computano come unità intere, quale che sia
la durata della loro prestazione lavorativa”.
L’art. 46 del d.lgs. n.276/2003 ha abrogato tale comma e, di conseguenza,
il computo dei lavoratori con contratto di lavoro part-time avverrà,
anche per i fini e gli effetti di cui alla legge n.300/70, con le modalità
previste dal primo comma dell’art. 6 del d.lgs. n. 61/2000, ovvero
in proporzione all’orario effettivo di lavoro.
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