di Domenico Secondulfo
Docente di Sociologia Generale e di Sociologia dei Processi Culturali
Università di Verona
   
Beviamoci sopra
   
  (Foto di Lodovico Antonini)
   
 
 

In una nostra conversazione precedente, mi ero brevemente occupato dell'aumento del consumo di alcol tra i giovani osservabile da qualche anno a questa parte, e di come fosse soprattutto tra le giovani donne l'incremento più eclatante. Come dicevo, varie possono essere le motivazioni, da quelle sociali a quelle individuali, ed i nuovi ruoli pubblici ottenuti dalle donne, le espongono certamente a tensioni e frustrazioni per loro nuove, con un passaggio dall'alcolismo della casalinga all'alcolismo della giovane emancipata. La nascita, anche tra le donne, di una vera e propria cultura dell'alcol, che prevede consumi che si distaccano sempre di più dal cibo, e che si orientano sempre di più secondo la cultura dello sballo e del bere per ubriacarsi, colora di ulteriore preoccupazione questo scenario. Va però detto, che la costruzione di una determinata cultura dei consumi non avviene unicamente in base a fenomeni diretti, nella nostra società vi sono potentissimi strumenti mediatici che possono pesantemente influire nella costruzione e nella diffusione di determinate culture dei consumi. Lo dimostra, tanto per fare un esempio, l'inarrestabile incremento del consumo di birra, seppur all'interno di un progressivo calo dei consumi generali di alcol, ed in particolare di vino, che è sicuramente stato influenzato anche dalle massicce campagne pubblicitarie, dirette e indirette, che hanno collegato la birra alla notte, alla musica ed al gruppo di amici, offrendo i giovani un modello di rituale che legava e “propiziava” una serie di desiderabili rapporti sociali e gratificazioni all'uso ed al consumo della birra. L'istituto superiore di sanità ha condotto uno studio che ha monitorato, nell'arco di un anno, dal 2000 al 2001, la programmazione delle tre reti pubbliche e delle tre reti commerciali, in relazione alla frequenza ed alla modalità di presentazione del consumo di alcol durante i programmi messi in onda, soprattutto film, telefilm e fiction. Dallo studio emerge che il consumo di alcol è presente sullo schermo con una frequenza di circa 13 minuti (per il fumo, benché ampiamente demonizzato, siamo ad un atto di consumo ogni 26 minuti che, a mio parere, non è comunque poco). Diciamo subito che non ci sono particolari differenze tra le reti monitorate, ma non è questo il punto, è sicuramente molto più importante che i personaggi che compiono questi atti di consumo sono soprattutto personaggi di tipo positivo, che la sceneggiatura tratteggia in modo che risultino simpatici allo spettatore, e che il contesto in cui il consumo avviene è comunque di piacere convivialità, che ispira benessere e calore. Per quanto riguarda i generi, sono soprattutto i film per la televisione e le fiction a presentare le più alte frequenze rispetto al resto della programmazione. La relazione tra alcol e convivialità è quindi fortemente sottolineata dai media, rappresentando il contesto di più della metà degli atti di consumo rilevati, a seguire, l'alcol si associa a momenti di concentrazione, ansia e depressione. La sua connotazione positiva è quindi presente in più dei due terzi degli eventi che sono stati esaminati dall'indagine. Tanto per fare un parallelo, il fumo risultava associato soprattutto alla concentrazione, all'attesa ed alla convivialità, ma con una distribuzione meno sbilanciata a favore di quest'ultima rispetto all'alcol. Anche rispetto alla connotazione del personaggio che eseguiva il consumo, come abbiamo detto, più della metà delle situazioni considerate identificava una personalità ampiamente positiva, mentre, ad esempio per il fumo, il bilancio tra i personaggi positivi e negativi era quasi in equilibrio. Questo significa che nell'universo immaginario proposto quotidianamente dalla televisione, se il fumatore è una figura a volte positiva ed a volte negativa, chi consuma alcol è una figura soprattutto positiva. Un risultato certamente notevole se teniamo presente che è stato ricavato dall'osservazione di prodotti televisivi che non erano espressamente orientati alla pubblicità, e che a questi dati dobbiamo aggiungere quelli relativi alla pubblicità diretta che, mentre ha visto la scomparsa del fumo, continua a presentare gli alcolici come una qualsiasi altra merce e, naturalmente, nelle pubblicità i soggetti che consumano la merce pubblicizzata non possono che essere positivi, e nelle pubblicità degli alcolici, ma anche in larga parte delle altre, l'aspetto della convivialità e della intensa relazionalità è fortemente sottolineato. Ad onta dei trend statistici, più del 70% di questi bevitori è un maschio, e solo il 25-30 percento è una femmina. Un'altra notazione poco rassicurante che emerge dallo studio dell'istituto superiore di sanità, è che la distribuzione, nel palinsesto, dei programmi in cui il consumo di alcolici è alto, non presenta particolare attenzione per le fasce orarie in cui è presumibile che tra gli spettatori siano maggiormente presenti giovani e bambini. I luoghi di consumo dell'alcol sono soprattutto i locali pubblici ed in secondo luogo le case, bassissima ogni altra ambientazione. Il contesto, quindi, da un lato si associa con la convivialità, e dall'altro si presenta come estremamente rassicurante, comunicando così, indirettamente, un'immagine positiva e sicuramente non pericolosa dell'alcol che, del resto, rispecchia fedelmente l'opinione comune. Per la grandissima maggioranza degli italiani, bere uno o due bicchieri di vino o birra a pasto è una cosa del tutto normale (indagine Doxa), ubriacarsi ogni tanto non è grave purché non diventi un'abitudine, e le bevande alcoliche in piccole quantità non danneggiano la salute, questo anche se la quasi maggioranza pensa anche che bere molto equivalga a drogarsi. Del resto, in una cultura in cui il consumo del vino è così profondamente radicato come nella nostra, non ci si può certo aspettare che l'alcol sia visto come un pericolo assoluto, il problema può iniziare a subentrare quando dal consumo “tradizionale” di vino durante i pasti, si inizi a distaccarsi un consumo autonomo degli alcolici. Questi, una volta svincolati dalle ritualità del pasto, possono innestare rituali e spazi autonomi, in cui altre modalità ed altri significati possono insinuarsi nel loro consumo, aumentando i rischi in misura proporzionale proprio a quella familiarità, che la nostra cultura ha con il consumo di alcol e con una sua immagine sostanzialmente positiva o comunque non pericolosa. Lo spostamento dalla ritualità del pasto a rituali autonomi, e dal vino associato all'alimentazione ad altri tipi di alcolici associati al tempo libero, una volta che si innesti in una cultura come la nostra, in cui l'alcol non è di per sé un pericolo (come, pian piano, lo sta invece diventando il fumo), può effettivamente produrre dei comportamenti estremamente rischiosi. È quello che, a quanto pare, sta accadendo nei gruppi di giovani, ed in particolare di giovani donne, in cui, a fronte di una lenta e progressiva diminuzione generale, il consumo di alcol sta aumentando velocemente, ed aumenta secondo rituali che lo distaccano del cibo, lo collegano alla convivialità ma anche alla cultura dello sballo, come abbiamo commentato in una precedente conversazione su questo tema. E questo, a parte i rischi per l'immediato di una tendenza all'assunzione di alcol fino a perdere il controllo di se stessi, porterà senz'altro danni alla salute nella seconda metà della vita, ma, se ben ricordo, a vent'anni faticavo a pensare a quando ne avrei avuto trenta, figuriamoci oltre; e poi sorge una riflessione decisamente politically uncorrect: non sarà che per campare, in questo mondo, qualche aiutino è proprio indispensabile?