L'evoluzione
del mercato finanziario in Italia sembra volerci riservare più
sorprese di quante ce ne sono già state, soprattutto in relazione
a un tema noto ai più a seguito della vicenda Parmalat: l’intreccio
anomalo (e crescente) tra istituti bancari e grandi imprenditori.
In questi ultimi anni, infatti, il mercato ha assistito a un processo
che, chiaramente, non riguarda soltanto l’Italia (anzi: semmai arriviamo
in ritardo anche in questo): il progressivo intrecciarsi degli interessi.
La mancanza di regole e garanzie a livello internazionale è più
che denunciata e non soltanto da onlus e movimenti di piazza,
quanto dallo stesso mondo finanziario, che vede in questi strani “accoppiamenti”
l’origine di “bolle finanziarie” dagli effetti devastanti
(basti ricordare, oltre alla già citata Parmalat, la vicenda Enron,
che negli States ha coinvolto persino il presidente George Bush
jr).
Tra i protagonisti della scena nostrana, ad ogni modo, c’è
l’ultimo self-made man all’italiana, il romano Stefano
Ricucci - noto più per un flirt con Anna Falchi che per le sue
imprese finanziarie - che da ex odontotecnico è arrivato all’attuale
Magiste International, il gruppo attraverso il quale partecipa o controlla
alcuni dei pacchetti più rilevanti del mercato. Sconosciuto fino
appena a un paio di anni fa, Ricucci è ora presente in Capitalia,
BNL, Popolare di Lodi, Hopa, Bipielle Investimenti, Banca valori, Meliorbanca
e anche Lazio Calcio, la quotata in borsa della nota società sportiva.
“Sarebbe ora che i banchieri la smettessero di mettersi sul piedistallo
dicendo agli imprenditori: tu sì, tu no,” ha dichiarato Ricucci
ultimamente, ma, considerando i suoi recenti investimenti, sembra che
ora, sul piedistallo, ci voglia stare proprio lui.
A voler “salire sul piedistallo”, a quanto pare, non è
soltanto Ricucci e la Magiste. Da poco uscito dallo scandalo delle promozioni
fasulle di Banca 121, il Monte dei Paschi di Siena si ritrova ora con
un consiglio di amministrazione alquanto rivoluzionato. La Fondazione
Monte dei Paschi, infatti, azionista storico dell’istituto di credito,
ha recentemente perso la maggioranza delle poltrone in consiglio, a favore
di un fronte compatto di privati, capeggiati dal raider bresciano
Emilio Gnutti (della già citata Hopa) e dal costruttore Francesco
Gaetano Caltagirone. Con loro, come con altri grandi imprenditori, il
Monte ha stretti rapporti di credito - si parla di un’esposizione
per 130 milioni di euro con Caltagirone e per 490 con Gnutti - ed è
evidente che ognuno vigila sui propri affari e su quelli in comune con
il Monte: Caltagirone sugli immobili, Gnutti sui massicci investimenti
che la banca senese ha fatto proprio nella Hopa.
Sembra poi avviarsi ad una soluzione “tutta italiana” anche
la crisi del gruppo Prada, la cui entrata in borsa fu bloccata, a fine
2001, dall’attentato delle Twin Towers. Risale a quel tempo, infatti,
la stipula della maxi-obbligazione da 700 milioni con scadenza a luglio
2005 - un impegno preso in previsione di un’entrata in borsa in
tempi brevi mai avvenuta e che legava il luxury group del patròn
Patrizio Bertelli a Deutsche Bank, BNP-Paribas e Barclays.
Ora, una cordata di istituti bancari nostrani - tra cui Banca Intesa,
Unicredito, Bipielle e BPU-Centrobanca - hanno fornito le controgaranzie
necessarie a Bertelli per svincolarsi dalla situazione in cui si era messo,
ottenendo in cambio il 60% di Prada (quando il contratto precedente esponeva
il gruppo solo per il 40%).
Questa volta, insomma, potrebbero essere le banche ad andare in fabbrica
- o quanto meno a controllarne il consiglio d’amministrazione -
anche se Bertelli si dice soddisfatto dell’attuale andamento dell’holding
e assicura l’attesa entrata in borsa per il primo semestre
2005.
Uno dei dettagli persi lungo la strada, in tutto questo, è come
sia possibile non soltanto monitorare, ma gestire questo tipo di processi
più o meno “sotterranei” di reciproche acquisizioni
- istituti bancari che controllano il sistema industriale e imprenditori
che entrano pesantemente nei consigli di amministrazione delle banche.
Connubi “contro natura”, che spesso partoriscono mostri, di
cui poi nessuno si assume la paternità.
Lo stesso ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha parlato di
“crescenti ipotesi di conflitto d’interessi”, e anche
se al tempo si riferiva al caso Parmalat-Capitalia, è evidente
che la questione coinvolge anche tutti gli altri casi e gli altri attori.
Se si trattasse della solita commedia all’italiana, non ci resterebbe
che allargare le braccia e sorridere rassegnati.
Ma, purtroppo, non di rado si arriva al dramma o ad autentiche tragedie
per l’economia nazionale, per i risparmiatori e per i lavoratori
coinvolti
Pochi si illudano che quello di Calisto Tanzi sia un caso isolato.
Non vogliamo paragonare le intenzioni di quest’ultimo alle attività
della nuova leva imprenditoriale, ma resta vero il fatto che possiamo
osservare sempre più imprenditori che si comportano come banche
e banche che si muovono come imprenditori.
Senza che ci sia né un organo di controllo competente, né
una legislazione capace di affrontare l’assoluta deregolamentazione
dei mercati finanziari.
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