di Sofia Cecconi Consulente Legale Fabi      
Novità giurisprudenziali
 
Risposte ai quesiti
 
 

LAVORO STRAORDINARIO
E DIRITTI DI INFORMATIVA SINDACALE

CASSAZIONE SEZIONE LAVORO 17 aprile 2004, n. 7347
Costituisce comportamento antisindacale la violazione, da parte del datore di lavoro, di diritti di informazione riconosciuti al Sindacato dalla contrattazione collettiva, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno natura preventiva (Nella fattispecie, infatti, si trattava dell’informazione dovuta per il caso di lavoro straordinario che, pur non avendo natura preventiva, è tuttavia funzionale a far conoscere al Sindacato la situazione dei carichi di lavoro in azienda).

 
 

NOTA
La sentenza in commento affronta il caso della mancata comunicazione – il cui diritto scaturisce dalla disciplina pattizia – da parte di un’azienda di credito al sindacato dei dati relativi al numero di ore di lavoro straordinario svolto presso ciascun ufficio.
Il Giudice, sia nella fase cautelare che nel successivo giudizio di opposizione, aveva dichiarato l’antisindacalità della condotta tenuta dalla banca; il medesimo Giudice, dunque, aveva ordinato al datore di lavoro di trasmettere alle organizzazioni sindacali le dovute comunicazioni mensili e di contenere inoltre lo straordinario nei limiti previsti dal contratto collettivo.
Successivamente, in grado di Appello, il Tribunale aveva del tutto riformato la decisione, ritenendo che non si ravvisassero gli estremi dell’antisindacalità, giacché l’obbligo della comunicazione non era contenuto nella “parte”contrattuale dedicata alle “relazioni sindacali” e non si trattava di una informativa preventiva; con riferimento al superamento del limite contrattuale del ricorso allo straordinario, inoltre, il Tribunale precisava che, trattandosi di violazione di un diritto individuale del lavoratore, lo stesso non poteva rientrare nelle ipotesi giustiziabili con l’azione per condotta antisindacale.
La decisione della Corte di Cassazione, invece, accoglie ora le ragioni del sindacato e dichiara nuovamente come antisindacale la violazione da parte del datore di lavoro del diritto di informazione sulle prestazioni di lavoro straordinario, indipendentemente dalla collocazione della disciplina nel contesto pattizio e della natura “ex post” della stessa.
L’informativa in questione, infatti, è idonea a far conoscere al sindacato la reale situazione interna all’azienda ed è, pertanto, utile ad orientare i comportamenti del medesimo, onde ostacolare la sistematica violazione del “monte ore” di lavoro straordinario da parte della banca e tutelare così il diritto dei lavoratori alla tutela della salute e sicurezza, altrimenti leso da eccessivi carichi e ritmi lavorativi.
Si segnala, fra l’altro, che la giurisprudenza ha ritenuto non esonerato il datore di lavoro rispetto a tali obblighi di informativa anche dopo l’entrata in vigore della legge sulla privacy (l. n. 675 del 1996), trattandosi di una comunicazione che inerisce a diritti sottratti alla disponibilità del singolo, in quanto posti a vantaggio ed a tutela della collettività dei dipendenti (v. in tal senso Trib. Torino, 23 luglio 1999).
In conclusione, dunque, l’esigenza della banca di far effettuare lavoro straordinario ai propri dipendenti non può prescindere dai diritti di informativa sindacale, pena l’illegittimità del comportamento.

I DIRITTI DEL LAVORATORE “CEDUTO”
NEL TRASFERIMENTO DI RAMO D’AZIENDA

Da qualche mese - secondo voci “di corridoio” suffragate da recenti notizie emerse sulla stampa locale - la banca presso cui lavoro ha avviato delle trattative per cedere un ramo d’azienda ad un’altra banca. Tale situazione mi preoccupa particolarmente poiché provengo da un’altra esperienza lavorativa, (...), che ho abbandonato nella prospettiva professionale e di carriera offertami dall’attuale istituto di credito.(...). A questo punto vorrei sapere, qualora venissi coinvolto nella cessione, i possibili riflessi economici e normativi di tale operazione sul mio rapporto di lavoro.

(lettera firmata)

Il quesito posto, che per ragioni editoriali di brevità è stato ridotto a poche righe è particolarmente complesso e meriterebbe una analisi più approfondita, a fronte di maggiori elementi che potrebbero essere forniti.
La situazione tuttavia è piuttosto interessante e si presta ad alcune considerazioni di carattere generale che possono offrire al richiedente un’utile bussola per orientarsi nella soluzione del suo problema.
Innanzitutto, con riferimento alla posizione del lavoratore all’interno della Banca, anche ai fini della valutazione del coinvolgimento o meno nell’operazione societaria in questione, occorre sottolineare che il trasferimento di ramo d’azienda ha subito modifiche sostanziali a seguito del d.lgs. n. 276 del 2003 (cosiddetta riforma BIAGI). Tale decreto, infatti, ha soppresso il requisito della preesistenza del ramo d’azienda, per cui è consentito a cedente e cessionario identificare l’articolazione aziendale autonoma che costituisce il ramo d’azienda, “al momento del suo trasferimento”, dovendo comunque esistere la caratteristica di autonomia della porzione aziendale ceduta.
Riguardo poi ai diritti individuali del lavoratore, come è noto, l’art. 2112 c.c. prevede la continuità del vincolo che prosegue, dunque, senza soluzione di continuità, con l’azienda cessionaria, la quale - fra l’altro - è tenuta ad applicare ai lavoratori “i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario”.
Di norma, tuttavia, il regime pattizio applicabile ai dipendenti ceduti viene regolamentato dal c.d. accordo di armonizzazione che, come dice la parola stessa, tende ad uniformare i regimi convenzionali applicati presso la banca cessionaria, anche al fine di non creare irragionevoli disparità di trattamento fra lavoratori che si trovano ad operare nella medesima realtà produttiva.
È evidente, tuttavia, che i trattamenti economici preesistenti sopravvivono all’armonizzazione, anche attraverso il riconoscimento di assegni ad personam, normalmente riassorbibili, salvo che non vi siano specifiche disposizioni contrarie nel contratto individuale.
Da un diverso angolo visuale, però, un simile mutamento di proprietà aziendale potrebbe irrimediabilmente compromettere le prospettive di carriera del lavoratore in questione. Per cui si segnala che la legge, qualora le condizioni di lavoro subiscano sostanziali modifiche in seguito al trasferimento, consente al prestatore di rassegnare le dimissioni nei tre mesi successivi al trasferimento motivandole “per giusta causa”, al fine di beneficiare dell’esonero rispetto all’obbligo del preavviso e, anzi, consentendo al medesimo di conseguire il diritto al pagamento di una somma pari all’indennità di mancato preavviso.