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NOTA
La sentenza in commento affronta il caso
della mancata comunicazione – il cui diritto scaturisce dalla disciplina
pattizia – da parte di un’azienda di credito al sindacato
dei dati relativi al numero di ore di lavoro straordinario svolto presso
ciascun ufficio.
Il Giudice, sia nella fase cautelare che nel successivo giudizio di opposizione,
aveva dichiarato l’antisindacalità della condotta tenuta
dalla banca; il medesimo Giudice, dunque, aveva ordinato al datore di
lavoro di trasmettere alle organizzazioni sindacali le dovute comunicazioni
mensili e di contenere inoltre lo straordinario nei limiti previsti dal
contratto collettivo.
Successivamente, in grado di Appello, il Tribunale aveva del tutto riformato
la decisione, ritenendo che non si ravvisassero gli estremi dell’antisindacalità,
giacché l’obbligo della comunicazione non era contenuto nella
“parte”contrattuale dedicata alle “relazioni sindacali”
e non si trattava di una informativa preventiva; con riferimento al superamento
del limite contrattuale del ricorso allo straordinario, inoltre, il Tribunale
precisava che, trattandosi di violazione di un diritto individuale del
lavoratore, lo stesso non poteva rientrare nelle ipotesi giustiziabili
con l’azione per condotta antisindacale.
La decisione della Corte di Cassazione, invece, accoglie ora le ragioni
del sindacato e dichiara nuovamente come antisindacale la violazione da
parte del datore di lavoro del diritto di informazione sulle prestazioni
di lavoro straordinario, indipendentemente dalla collocazione della disciplina
nel contesto pattizio e della natura “ex post” della stessa.
L’informativa in questione, infatti, è idonea a far conoscere
al sindacato la reale situazione interna all’azienda ed è,
pertanto, utile ad orientare i comportamenti del medesimo, onde ostacolare
la sistematica violazione del “monte ore” di lavoro straordinario
da parte della banca e tutelare così il diritto dei lavoratori
alla tutela della salute e sicurezza, altrimenti leso da eccessivi carichi
e ritmi lavorativi.
Si segnala, fra l’altro, che la giurisprudenza ha ritenuto non esonerato
il datore di lavoro rispetto a tali obblighi di informativa anche dopo
l’entrata in vigore della legge sulla privacy (l. n. 675 del 1996),
trattandosi di una comunicazione che inerisce a diritti sottratti alla
disponibilità del singolo, in quanto posti a vantaggio ed a tutela
della collettività dei dipendenti (v. in tal senso Trib. Torino,
23 luglio 1999).
In conclusione, dunque, l’esigenza della banca di far effettuare
lavoro straordinario ai propri dipendenti non può prescindere dai
diritti di informativa sindacale, pena l’illegittimità del
comportamento.
I DIRITTI DEL LAVORATORE “CEDUTO”
NEL TRASFERIMENTO DI RAMO D’AZIENDA
Da qualche mese - secondo voci “di
corridoio” suffragate da recenti notizie emerse sulla stampa locale
- la banca presso cui lavoro ha avviato delle trattative per cedere un
ramo d’azienda ad un’altra banca. Tale situazione mi preoccupa
particolarmente poiché provengo da un’altra esperienza lavorativa,
(...), che ho abbandonato nella prospettiva professionale e di carriera
offertami dall’attuale istituto di credito.(...). A questo punto
vorrei sapere, qualora venissi coinvolto nella cessione, i possibili riflessi
economici e normativi di tale operazione sul mio rapporto di lavoro.
(lettera firmata)
Il
quesito posto, che per ragioni editoriali di brevità è stato
ridotto a poche righe è particolarmente complesso e meriterebbe
una analisi più approfondita, a fronte di maggiori elementi che
potrebbero essere forniti.
La situazione tuttavia è piuttosto interessante e si presta ad
alcune considerazioni di carattere generale che possono offrire al richiedente
un’utile bussola per orientarsi nella soluzione del suo problema.
Innanzitutto, con riferimento alla posizione del lavoratore all’interno
della Banca, anche ai fini della valutazione del coinvolgimento o meno
nell’operazione societaria in questione, occorre sottolineare che
il trasferimento di ramo d’azienda ha subito modifiche sostanziali
a seguito del d.lgs. n. 276 del 2003 (cosiddetta riforma BIAGI). Tale
decreto, infatti, ha soppresso il requisito della preesistenza del ramo
d’azienda, per cui è consentito a cedente e cessionario identificare
l’articolazione aziendale autonoma che costituisce il ramo d’azienda,
“al momento del suo trasferimento”, dovendo comunque esistere
la caratteristica di autonomia della porzione aziendale ceduta.
Riguardo poi ai diritti individuali del lavoratore, come è noto,
l’art. 2112 c.c. prevede la continuità del vincolo che prosegue,
dunque, senza soluzione di continuità, con l’azienda cessionaria,
la quale - fra l’altro - è tenuta ad applicare ai lavoratori
“i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi
nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento,
fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti
collettivi applicabili all’impresa del cessionario”.
Di norma, tuttavia, il regime pattizio applicabile ai dipendenti ceduti
viene regolamentato dal c.d. accordo di armonizzazione che, come dice
la parola stessa, tende ad uniformare i regimi convenzionali applicati
presso la banca cessionaria, anche al fine di non creare irragionevoli
disparità di trattamento fra lavoratori che si trovano ad operare
nella medesima realtà produttiva.
È evidente, tuttavia, che i trattamenti economici preesistenti
sopravvivono all’armonizzazione, anche attraverso il riconoscimento
di assegni ad personam, normalmente riassorbibili, salvo che non vi siano
specifiche disposizioni contrarie nel contratto individuale.
Da un diverso angolo visuale, però, un simile mutamento di proprietà
aziendale potrebbe irrimediabilmente compromettere le prospettive di carriera
del lavoratore in questione. Per cui si segnala che la legge, qualora
le condizioni di lavoro subiscano sostanziali modifiche in seguito al
trasferimento, consente al prestatore di rassegnare le dimissioni nei
tre mesi successivi al trasferimento motivandole “per giusta causa”,
al fine di beneficiare dell’esonero rispetto all’obbligo del
preavviso e, anzi, consentendo al medesimo di conseguire il diritto al
pagamento di una somma pari all’indennità di mancato preavviso.
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