di Sofia Cecconi Consulente Legale Fabi      
Novità giurisprudenziali
 
Risposte ai quesiti
 
  MALATTIA PROFESSIONALE
E CALCOLO DEL PERIODO DI COMPORTO

Cassazione, sezione lavoro, 23 aprile 2004, n. 7730.
È illegittimo il licenziamento per il superamento del periodo di comporto di un lavoratore invalido assunto obbligatoriamente, qualora la malattia sia derivata o sia stata aggravata dall’adibizione de medesimo a mansioni non adeguate al proprio stato di salute.

 
 

NOTA
La sentenza in commento concerne la vicenda di un lavoratore, assunto obbligatoriamente, licenziato dal datore di lavoro a causa del superamento del periodo di comporto per malattia.
Il Tribunale di Brindisi, a cui è stato sottoposto il caso in prima istanza, ha dichiarato illegittimo il licenziamento, accogliendo la tesi del lavoratore. Il Giudice ha infatti ritenuto che non dovessero essere incluse nel computo del periodo di comporto le cinquantasette giornate di assenza per una malattia, lombalgia,determinata dall’adibizione del lavoratore a mansioni non consone al suo stato, non potendo il datore di lavoro richiedere al lavoratore avviato obbligatoriamente prestazioni incompatibili con le sue minorazioni (cfr. art. 10, comma 2, legge n. 68 del 1999).
Tale decisione è stata successivamente confermata anche dalla Corte d’Appello di Lecce. La Società, insistendo nella sua tesi, ha proposto ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte, confermando un proprio precedente orientamento, (Cassazione, sezione lavoro n. 10769 del 1994), ha rigettato il ricorso, affermando che il superamento del periodo di comporto non può giustificare il recesso da parte del datore di lavoro, nel caso in cui parte delle assenze del lavoratore siano dovute a malattia imputabile a responsabilità dello stesso datore, a causa della nocività delle mansioni o dell’ambiente di lavoro, che il medesimo datore sarebbe stato tenuto a rimuovere (art. 2087 c.c.).
In particolare, ha precisato la Corte, nell’ipotesi di rapporto di lavoro con un invalido assunto obbligatoriamente le assenze per malattia, collegate con lo stato di invalidità, non possono essere incluse nel periodo di comporto se l’invalido sia stato adibito (in violazione dell’art. 20 legge n. 482 del 1968, ora art. 10 comma 2 della legge n. 68 del 1999) a mansioni incompatibili con le sue condizioni fisiche, derivando, in tal caso, l’impossibilità della prestazione lavorativa dalla violazione, da parte del datore di lavoro, dell’obbligo di tutelare l’integrità fisica del lavoratore.
La sentenza, dunque, è da segnalare giacché fa scaturire dalla violazione del dettato legislativo (art. 10 l. cit. “Il datore di lavoro non può chiedere al disabile una prestazione non compatibile con le sue minorazioni”) l’importante conseguenza dell’illegittimità del licenziamento derivante dall’eventuale superamento del periodo di comporto.
Non può, fra l’altro, escludersi - come peraltro previsto da alcuni contratti collettivi - che un analogo principio possa estendersi anche al resto dei lavoratori, ovvero anche a quelli non avviati obbligatoriamente, (Cass., sez. lav., 13 gennaio 2003, n. 316), dato che se la malattia o l’infortunio dipendono da cause imputabili al datore di lavoro, le relative assenze non dovrebbero essere incluse nel calcolo del periodo di comporto, giacché l’impossibilità della prestazione lavorativa è anche in questo caso imputabile al comportamento della stessa parte cui detta prestazione è destinata (Cass., sez. lav., 10 aprile 1996, n. 3351).

IL PROBLEMA DELLA “PROGRAMMAZIONE”
DELLE FERIE ANNUALI

In una recente una circolare la società presso cui lavoro (Carta Sì Holding) ha stabilito alcuni principi cui devono attenersi tutti i dipendenti nella fruizione delle ferie. Si tratta in sostanza dei seguenti:
1. Il periodo di ferie spettante dovrà essere preventivamente programmato al fine di realizzare il totale godimento delle ferie nell’anno, nel rispetto del corretto svolgimento dell’attività lavorativa;
2. le ferie spettanti per l’anno 2004 dovranno essere fruite entro il 31.12.2004;
3. è ammesso, in casi eccezionali, un residuo di ferie per un massimo di cinque giornate, che dovrà comunque essere fruito entro il 30 aprile dell’anno successivo;
4. il piano ferie, una volta concordato tra lavoratore e azienda, potrà essere modificato soltanto in casi eccezionali.
Nella medesima circolare si afferma, poi, che tutti i dipendenti dovranno fruire di 2 settimane di ferie nel mese di agosto, così distribuite:
a- La settimana di ferragosto fissa per tutti i dipendenti (9 – 13 agosto);
b- un’ulteriore settimana da fruirsi in una delle settimane 2 – 6 agosto oppure 16 – 20 agosto.
Tale circolare è legittima oppure, come sembra, è in contrasto con il principio secondo il quale le ferie devono essere concordate – sempre e comunque – tra azienda e lavoratore ?

(lettera firmata)

L'art. 2109 del codice civile stabilisce che il prestatore di lavoro ha diritto "(...) ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo nel tempo, che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi dei prestatori di lavoro".
Da ciò si evince che il datore di lavoro deve garantire il diritto alla fruizione delle ferie, operando un contemperamento fra le esigenze dell’impresa e l’interesse dei lavoratori.
Il CCNL siglato fra OO.SS. e ABI l’11 luglio 1999, applicabile al caso di specie, precisa inoltre che “i turni di ferie devono essere fissati tempestivamente dall’azienda, confermati al lavoratore e rispettati; soltanto in casi eccezionali si possono variare di comune intesa tra l’azienda e il lavoratore” (v. art. 46).
Sempre a tutela delle esigenze del lavoratore di recupero delle proprie energie psico-fisiche attraverso le ferie, la stessa norma stabilisce poi che, in presenza di particolari esigenze, l’azienda può dividere le ferie in due periodi, uno dei quali non inferiore a quindici giorni lavorativi.
Venendo alla circolare, vi si legge che il lavoratore ha diritto a fruire durante l’anno di quattro settimane di ferie delle quali due dovranno essere fruite nel mese di agosto, mentre delle restanti il lavoratore può farne l’uso che ritiene più opportuno, previo accordo con l’azienda e purché ne fruisca interamente nell’anno.
Tale impostazione pare – almeno in linea teorica – conforme al contratto collettivo, sempre che, ovviamente, l’obbligo di fruire di alcuni periodi di ferie nel mese di agosto, non scalfisca il diritto del lavoratore di avere a disposizione almeno quindici giorni continuativi di ferie nel corso dell’anno.
Per il resto, la disposizione non appare contrastante neppure con la legge, dato che l’art. 10 del d.lgs. n. 66 del 2003 impone la fruizione di tutte le ferie spettanti entro l’anno, vietando che queste possano essere sostituite dalla relativa indennità, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro.
Nella pratica, tuttavia, accade sovente che al lavoratore sia preclusa la possibilità di fruire delle ferie entro l’anno, assecondando in tutto e per tutto le esigenze dal medesimo manifestate. E ciò in quanto, talvolta, la concentrazione del lavoro in determinati periodi, e/o la concomitanza di più richieste di ferie nel medesimo arco temporale, impediscono al datore di lavoro di rispondere positivamente a tutte le richieste.
Per ovviare al problema, giova notare che è all’esame del Parlamento un disegno di legge di modifica del d.lgs. n. 66 del 2003 nella parte in cui sancisce l’obbligatorietà della fruizione delle ferie entro l’anno di competenza, dandosi così la possibilità al lavoratore di godere delle stesse entro i diciotto mesi successivi al periodo di maturazione. In questo modo, se tale disegno di legge dovesse diventare legge, il dipendente potrebbe avere a disposizione un termine più ampio per fruire del proprio diritto, potendo (forse) trovare miglior soddisfazione gli interessi del lavoratore e dell’imprenditore, da un lato, nonché dei lavoratori fra di loro, dall’altro.