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NOTA
La sentenza in commento concerne la vicenda
di un lavoratore, assunto obbligatoriamente, licenziato dal datore di
lavoro a causa del superamento del periodo di comporto per malattia.
Il Tribunale di Brindisi, a cui è stato sottoposto il caso in prima
istanza, ha dichiarato illegittimo il licenziamento, accogliendo la tesi
del lavoratore. Il Giudice ha infatti ritenuto che non dovessero essere
incluse nel computo del periodo di comporto le cinquantasette giornate
di assenza per una malattia, lombalgia,determinata dall’adibizione
del lavoratore a mansioni non consone al suo stato, non potendo il datore
di lavoro richiedere al lavoratore avviato obbligatoriamente prestazioni
incompatibili con le sue minorazioni (cfr. art. 10, comma 2, legge n.
68 del 1999).
Tale decisione è stata successivamente confermata anche dalla Corte
d’Appello di Lecce. La Società, insistendo nella sua tesi,
ha proposto ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte, confermando un proprio precedente orientamento, (Cassazione,
sezione lavoro n. 10769 del 1994), ha rigettato il ricorso, affermando
che il superamento del periodo di comporto non può giustificare
il recesso da parte del datore di lavoro, nel caso in cui parte delle
assenze del lavoratore siano dovute a malattia imputabile a responsabilità
dello stesso datore, a causa della nocività delle mansioni o dell’ambiente
di lavoro, che il medesimo datore sarebbe stato tenuto a rimuovere (art.
2087 c.c.).
In particolare, ha precisato la Corte, nell’ipotesi di rapporto
di lavoro con un invalido assunto obbligatoriamente le assenze per malattia,
collegate con lo stato di invalidità, non possono essere incluse
nel periodo di comporto se l’invalido sia stato adibito (in violazione
dell’art. 20 legge n. 482 del 1968, ora art. 10 comma 2 della legge
n. 68 del 1999) a mansioni incompatibili con le sue condizioni fisiche,
derivando, in tal caso, l’impossibilità della prestazione
lavorativa dalla violazione, da parte del datore di lavoro, dell’obbligo
di tutelare l’integrità fisica del lavoratore.
La sentenza, dunque, è da segnalare giacché fa scaturire
dalla violazione del dettato legislativo (art. 10 l. cit. “Il
datore di lavoro non può chiedere al disabile una prestazione non
compatibile con le sue minorazioni”) l’importante conseguenza
dell’illegittimità del licenziamento derivante dall’eventuale
superamento del periodo di comporto.
Non può, fra l’altro, escludersi - come peraltro previsto
da alcuni contratti collettivi - che un analogo principio possa estendersi
anche al resto dei lavoratori, ovvero anche a quelli non avviati
obbligatoriamente, (Cass., sez. lav., 13 gennaio 2003, n. 316), dato che
se la malattia o l’infortunio dipendono da cause imputabili al datore
di lavoro, le relative assenze non dovrebbero essere incluse nel calcolo
del periodo di comporto, giacché l’impossibilità della
prestazione lavorativa è anche in questo caso imputabile
al comportamento della stessa parte cui detta prestazione è destinata
(Cass., sez. lav., 10 aprile 1996, n. 3351).
IL PROBLEMA DELLA “PROGRAMMAZIONE”
DELLE FERIE ANNUALI
In una recente una circolare la società
presso cui lavoro (Carta Sì Holding) ha stabilito alcuni principi
cui devono attenersi tutti i dipendenti nella fruizione delle ferie. Si
tratta in sostanza dei seguenti:
1. Il periodo di ferie spettante dovrà essere preventivamente programmato
al fine di realizzare il totale godimento delle ferie nell’anno,
nel rispetto del corretto svolgimento dell’attività lavorativa;
2. le ferie spettanti per l’anno 2004 dovranno essere fruite entro
il 31.12.2004;
3. è ammesso, in casi eccezionali, un residuo di ferie per un massimo
di cinque giornate, che dovrà comunque essere fruito entro il 30
aprile dell’anno successivo;
4. il piano ferie, una volta concordato tra lavoratore e azienda, potrà
essere modificato soltanto in casi eccezionali.
Nella medesima circolare si afferma, poi, che tutti i dipendenti dovranno
fruire di 2 settimane di ferie nel mese di agosto, così distribuite:
a- La settimana di ferragosto fissa per tutti i dipendenti (9 –
13 agosto);
b- un’ulteriore settimana da fruirsi in una delle settimane 2 –
6 agosto oppure 16 – 20 agosto.
Tale circolare è legittima oppure, come sembra, è in contrasto
con il principio secondo il quale le ferie devono essere concordate –
sempre e comunque – tra azienda e lavoratore ?
(lettera firmata)
L'art.
2109 del codice civile stabilisce che il prestatore di lavoro ha diritto
"(...) ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente
continuativo nel tempo, che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto
delle esigenze dell’impresa e degli interessi dei prestatori di
lavoro".
Da ciò si evince che il datore di lavoro deve garantire il diritto
alla fruizione delle ferie, operando un contemperamento fra le esigenze
dell’impresa e l’interesse dei lavoratori.
Il CCNL siglato fra OO.SS. e ABI l’11 luglio 1999, applicabile al
caso di specie, precisa inoltre che “i turni di ferie devono
essere fissati tempestivamente dall’azienda, confermati al lavoratore
e rispettati; soltanto in casi eccezionali si possono variare di comune
intesa tra l’azienda e il lavoratore” (v. art. 46).
Sempre a tutela delle esigenze del lavoratore di recupero delle proprie
energie psico-fisiche attraverso le ferie, la stessa norma stabilisce
poi che, in presenza di particolari esigenze, l’azienda può
dividere le ferie in due periodi, uno dei quali non inferiore a quindici
giorni lavorativi.
Venendo alla circolare, vi si legge che il lavoratore ha diritto a fruire
durante l’anno di quattro settimane di ferie delle quali due dovranno
essere fruite nel mese di agosto, mentre delle restanti il lavoratore
può farne l’uso che ritiene più opportuno, previo
accordo con l’azienda e purché ne fruisca interamente nell’anno.
Tale impostazione pare – almeno in linea teorica – conforme
al contratto collettivo, sempre che, ovviamente, l’obbligo di fruire
di alcuni periodi di ferie nel mese di agosto, non scalfisca il diritto
del lavoratore di avere a disposizione almeno quindici giorni continuativi
di ferie nel corso dell’anno.
Per il resto, la disposizione non appare contrastante neppure con la legge,
dato che l’art. 10 del d.lgs. n. 66 del 2003 impone la fruizione
di tutte le ferie spettanti entro l’anno, vietando che queste possano
essere sostituite dalla relativa indennità, salvo il caso di risoluzione
del rapporto di lavoro.
Nella pratica, tuttavia, accade sovente che al lavoratore sia preclusa
la possibilità di fruire delle ferie entro l’anno, assecondando
in tutto e per tutto le esigenze dal medesimo manifestate. E ciò
in quanto, talvolta, la concentrazione del lavoro in determinati periodi,
e/o la concomitanza di più richieste di ferie nel medesimo arco
temporale, impediscono al datore di lavoro di rispondere positivamente
a tutte le richieste.
Per ovviare al problema, giova notare che è all’esame del
Parlamento un disegno di legge di modifica del d.lgs. n. 66 del 2003 nella
parte in cui sancisce l’obbligatorietà della fruizione delle
ferie entro l’anno di competenza, dandosi così la possibilità
al lavoratore di godere delle stesse entro i diciotto mesi successivi
al periodo di maturazione. In questo modo, se tale disegno di legge dovesse
diventare legge, il dipendente potrebbe avere a disposizione un termine
più ampio per fruire del proprio diritto, potendo (forse) trovare
miglior soddisfazione gli interessi del lavoratore e dell’imprenditore,
da un lato, nonché dei lavoratori fra di loro, dall’altro.
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