di Domenico Secondulfo
Docente di Sociologia Generale e di Sociologia dei Processi Culturali
Università di Verona
   
Le cattedrali del consumo
   
   
   
 
 

Che quella in cui viviamo, almeno noi occidentali, sia la società dei consumi è ormai un luogo comune, ma qual è il significato di questa definizione ormai quasi invecchiata? Società dei consumi non significa soltanto che viviamo in un mondo in cui la quantità di beni e servizi a disposizione di ciascuno di noi è la più alta sinora conosciuta nella storia dell'umanità, ma significa soprattutto che il mondo che ruota intorno all'acquisto ed al consumo di merci e servizi, diviene il perno centrale sia nella vita economica e sociale della nostra società, sia delle nostre vite individuali. Nel modello di società che ha preceduto questo, quello basato sulla produzione, era il tempo speso nella propria professione o nel proprio mestiere, a dare senso e ad essere il perno della vita di ognuno, e la ricchezza di una nazione era misurata soprattutto dalla salute del proprio sistema produttivo e dalla quantità di beni prodotti. In una società dei consumi, benché questi indicatori continuino ad essere usati, è soprattutto la quantità di beni acquistati e la "fiducia del consumatore" cioè la sua propensione a spendere, a definire lo stato di salute del sistema economico nel suo complesso. Ma anche nella nostra vita quotidiana, vivere in una società dei consumi ha significato che il senso ed il peso che la nostra attività professionale aveva nella definizione della nostra identità e nello sviluppo della nostra personalità, si è pian piano ridotto, a favore delle possibilità di realizzazione e di gratificazione che possiamo trovare nel mondo del consumo, sia dal punto di vista dell'acquisto di merci e servizi, sia dal punto di vista del loro uso. Non è più strano incontrare persone che, nel bilancio della propria auto realizzazione, danno un peso uguale al tipo di attività lavorativa che svolgono ed a ciò che fanno nella sfera del consumo e del tempo libero, ed infine, non è più così difficile trovare persone che svalutano essenzialmente il peso simbolico della propria attività lavorativa, usata unicamente per guadagnare denaro, ed attribuiscono il massimo del peso e del significato, rispetto alla propria auto realizzazione, a come spendono ciò che hanno guadagnato, a quello che fanno nel tempo libero e nel mondo del consumo. Ma c'è un terzo significato di società dei consumi, ed è quello che riguarda l’organizzazione sociale del tempo e dello spazio. Da questo punto di vista, nelle nostre società, lo spazio ed il tempo entro cui scorre la nostra vita viene sempre più colonizzato dalle attività di acquisto e di consumo, convertendo il tempo libero in tempo di consumo. Quando 40 o 50 anni fa, gli scrittori "futurologi" si interrogavano su quale società avrebbe prodotto lo sviluppo della tecnologia e l’automazione del lavoro, espandendo verso il futuro i modelli culturali della società in cui vivevano, ed in particolare quelli dei ceti sociali che in quella società lavoravano meno, ritenevano che l'uomo della nostra epoca sarebbe stato un uomo il cui tempo e la cui vita si sarebbe sviluppata soprattutto nell'ozio e nella riflessione, in attività di tipo artistico e comunitario, lasciando alle attività produttive poche ore alla settimana. Anche ad un osservatore superficiale, risulta chiaro che le cose sono andate in modo decisamente diverso. Non soltanto il tempo dedicato al lavoro, nonostante l'infinito aumento della produttività individuale, si è ben guardato dal diminuire, ed in alcuni casi è addirittura aumentato, aggiungendo sistematicamente all'orario di lavoro un lavoro straordinario che, ormai, fa stabilmente parte dell'impegno lavorativo ordinario e normale di ciascuno di noi, ma, soprattutto, l'impiego del tempo che rimane fuori dal tempo di lavoro si è ben guardato dall'orientarsi verso attività improduttive, di ozio, contemplazione o socializzazione, ma si è massicciamente convertito in un tempo altamente produttivo, che è l'esatto complemento del tempo di lavoro, cioè il tempo di consumo. A partire dagli anni '30 negli Stati Uniti e dal secondo dopoguerra in Europa, la pressione dei mezzi di comunicazione per far sì che non solo il tempo libero fosse convertito in tempo di consumo, ma che questo consumo si orientasse in maniera acconcia ed armoniosa rispetto ai beni prodotti, è stata continua e massiccia, e man mano che veniva meno e si de localizzava la struttura produttiva, una quantità sempre maggiore di spazio è stato trasformato in strutture mirate alla massimizzazione del volume di acquisti e di consumi, con una vera e propria programmazione scientifica di luoghi e strutture studiati a questo scopo. A partire dall'ormai vecchio supermercato degli anni '60, sino ai nuovi centri commerciali, una continua evoluzione di spazi, studiati per attrarre il consumatore e massimizzare il volume di merci acquistato, ha disseminato il mondo di nuove "cattedrali dei consumi", che sono diventate la meta abituale del tempo libero di un numero geometricamente crescente di consumatori. Nelle cinture delle grandi città, dove un tempo erano le fabbriche, in mezzo a quelle che oggi sono rimaste, ma molto spesso decisamente più ampi di queste, sono sorti e continuano a sorgere nuovi centri di attrazione, il cui scopo è unicamente quello di attrarre i consumatori e spingerli a restare a loro interno il maggior tempo possibile, convertendo questo tempo in volumi crescenti di merci e servizi acquistati. Così come nella società della produzione la fabbrica si evolve e si modifica per ottimizzare il processo produttivo, nella società del consumo il negozio si evolve e si modifica per ottimizzare il processo di vendita e consumo, dando luogo ad una tipologia articolata ed in continua evoluzione di luoghi mirati ad ottimizzare i processi di consumo, quelle che possiamo chiamare "le cattedrali del consumo". Il primo passaggio è quello delle catene di negozi o ristoranti che, benché indipendenti dal punto di vista formale, devono conformarsi a criteri, parametri ed immagine simbolica stabilite dalla "casa madre", dando luogo ad una clonazione di strutture di consumo essenzialmente identiche e facilmente riconoscibili dal consumatore, si tratta del modello del franchising, di cui la catena dei McDonald's è sicuramente l'esempio più eclatante e diffuso ma certamente non l'unico. Viene poi l'evoluzione dal supermercato al centro commerciale, in cui, man mano, all'interno della struttura distributiva vengono assorbite funzioni prima distribuite sul territorio. Si passa dalla semplice, "ingenua", concentrazione di merci e servizi tendenzialmente omogenei in un unico spazio, alla progettazione di uno spazio che integri merci e servizi anche molto diversi e lontani in un’unica esperienza di acquisto, un'esperienza che, come abbiamo più volte sottolineato in queste conversazioni, deve divenire sempre più ludica, il famoso "shopping". In questa chiave, accanto all'offerta di beni e servizi che, seppure in modo molto lato, ruotano attorno al concetto di spesa e di manutenzione domestica, l'evoluzione più probabile di queste strutture andrà nel senso di inserire al loro interno aree che consentano al consumatore di restarvi il più a lungo possibile, fondendo lo shopping “utile” con altre attività di tipo più decisamente ludico, come sta già avvenendo per i bambini. Ad esempio, inserendo all'interno dei centri commerciali anche sale da gioco e da proiezione, costruendo quindi un unico ambiente integrato e conchiuso, in cui tutto il tempo speso possa essere orientato verso la maggior parte dei consumi disponibili sul mercato, sia di acquisto che di intrattenimento, costruendo quindi un percorso di consumo completo, del tutto indipendente dalle strutture urbane preesistenti, una sorta di "istituzione totale” del consumo (secondo il modello dei parchi a tema, come Disneyland) perfettamente autonoma ed indipendente da quanto già esistente sul territorio in cui essa si trova, studiata per poter essere replicata e clonata all'infinito in qualsiasi società e cultura, un luogo in cui sia possibile entrare la mattina ed uscire la sera avendo sperimentato tutti tipi di consumi disponibili sul mercato e non altri. Una sorta di chiusura degli orizzonti di uso del proprio tempo, che traduca definitivamente il possibile nell’esistente, uccidendo fantasia, creatività ed immaginazione nell'uso del nostro tempo, e trasformando, finalmente, tutto ciò che non è lavoro in acquisto e consumo.