contratto      
     

L'inflazione: un dato essenziale per il rinnovo del CCNL

Il Dipartimento Contrattualistica della FABI ha redatto questo memorandum dove vengono brevemente illustrati gli indicatori che misurano il tasso di inflazione in Italia.

   

TABELLA SINTETICA DEI TASSI DI INFLAZIONE
Inflazione programmata (DPEF 2005/2008)
   
1,60%
1,50%
Inflazione attesa o prevista (*)
   
2,1-2,5%
2-2,3%
Inflazione percepita (**)
   
8,20%
 
Inflazione effettiva (Istat, FOI,
senza tabacchi)
2,40%
2,50%
   
Aumenti tabellari (Accordo 16/4/2002)
1,70%
1,30%
   
Conguaglio differenziale Accordi 1993
0,70%
1,20%
   
 
(*) previsioni di luglio Prometeia, ISAE, Istat, Confindustria; a fine anno sarà probabilmente superiore l’aumento dei carburanti
(**) SWG Soldi On Line, giugno 2004

Inflazione programmata: viene fissata dal Governo nel Documento di Programmazione Economica e Finanziaria anno per anno, per legge entro il 30 giugno, ma di fatto in luglio, agosto o settembre. E’ stata introdotta per la prima volta negli Accordi Interconfederali del 23 luglio 1993, allo scopo di sostituire la scala mobile (o indennità di contingenza) prevista dai contratti di categoria per recuperare in maniera automatica il costo della vita. Nei primi anni è stata abbastanza allineata all’inflazione prevista da Enti governativi e da Istituti di analisi e ricerca, ma successivamente è stata scelta secondo criteri politici: in base ad essa infatti il Governo fissa anche la spesa per i pubblici dipendenti, dovendo adeguare gli stipendi di questa categoria.

Inflazione effettiva: è quella calcolata dall’Istat in base a rilevamenti provinciali a carattere mensile. L’istituto di ricerca rileva mese per mese i prezzi al dettaglio di numerosi prodotti: l’indice complessivo viene calcolato utilizzando un paniere che non è altro che la percentuale di spesa, ripartita fra i vari prodotti, che fa una famiglia tipica italiana. Successivamente l’indicatore viene confrontato con quelle del mesi, o degli anni precedenti. Per evitare errori di calcolo ripetuti si parte da un indice convenzionale con base 100 dall’inizio di un anno prefissato (ad esempio attualmente il viene fissato come base e reso uguale a 100 il paniere determinato il 1° gennaio 1995). Ogni mese quindi l’Istat confronta gli indicatori, e pubblica gli incrementi ufficiali dell’inflazione sia per genere di prodotti che per il complessivo risultante. Il calcolo viene effettuato utilizzando quattro panieri:
1. NIC, o inflazione per l’intera collettività, con un paniere complessivo per tutta la popolazione italiana;
2. FOI, o inflazione per le famiglie di operai e impiegati, il cui paniere è determinato dalle abitudini di spesa di un lavoratore dipendente e della sua famiglia: quest’ultimo da qualche tempo è calcolato sia comprendendo la spesa per tabacchi sia escludendola, per cui gli indicatori di fatto sono due;
3. armonizzato UE, che prende come paniere quello di una famiglia tipica della Comunità Europea, e che – a differenza degli altri indici – tiene conto anche delle svendite stagionali.

Inflazione attesa o prevista: è la percentuale di inflazione prevista per l’anno in corso o per gli anni futuri, utilizzando dei modelli macroeconomici basati sull’andamento precedente. Viene calcolata dalla stessa Istat, o da altri enti governativi, come la Banca d’Italia, e da istituti di ricerca, come Prometeia, ISAE ed altri. Ovviamente è meno affidabile nei primi sei mesi dell’anno, ma poi assume valori via via più certi, man mano che la base si allarga. Siccome il DPEF viene varato a giugno luglio, l’inflazione programmata dovrebbe essere allineata con le previsioni, salvo qualche piccolo scarto in termini di uno o due decimali dovuto a diverse interpretazioni dei dati, ma in realtà abbiamo visto che non è così. Uno dei motivi di contrasto fra Governo e Organizzazioni sindacali in relazione alle procedure di rinnovo dei Contratti Nazionali di categoria è proprio l’eccessivo divario fra previsioni e inflazione programmata, fissata d’imperio per quest’anno al 1,6%. Questo contrasto ha portato recentemente tutte le Confederazioni, ed anche sindacati di categoria come la FABI, a denunciare l’applicazione delle regole degli Accordi Interconfederali del luglio 1993.

Inflazione percepita: è il tasso di inflazione che risulta ad una singola persona in base alla sua residenza ed in base alle sue abitudini di spesa, che possono ovviamente essere molto differenti da quelle ufficiali. Inoltre, essendo un indicatore molto soggettivo, è molto sensibile all’emotività di ogni singolo consumatore. Alcuni istituti di ricerca hanno iniziato dopo l’introduzione dell’Euro a studiare questo indicatore, che è utilissimo al fine di capire come va la propensione al consumo degli italiani. Come potete vedere dalla tabellina, l’indicatore si discosta notevolmente dall’inflazione effettiva, anche se il divario sta diminuendo. Quali possono essere i motivi di questa differenza? Probabilmente la frequenza di alcune spese, che resta più impressa nella mente di ciascuno di noi: i prezzi dei generi alimentari, dei ristorante e bar, o dei giornali, sono quelli che effettuiamo quotidianamente, mentre un’automobile, un elettrodomestico o beni durevoli vengono acquistati saltuariamente. Ebbene: l’Istat fissa i prezzi dei tre generi “quotidiani” attorno al 3,5%, quindi ben al di sopra della media del 2,3-2,4. I prezzi dei servizi poi sono più alti nelle grandi città, e così ne risulta una percezione maggiore a quella dell’inflazione effettiva ufficiale. Poi c’entrano le abitudini: si tende ad andare nello stesso negozio, dove ci si trova bene e si trovano i prodotti abituali, specie quando si tratta di generi alimentari. Il fatto che magari dall’altra parte della città vi è un centro commerciale che costa meno può non essere decisivo, e poi l’Istat non rileva affatto la qualità, ma solo i prezzi al chilo……