di Lodovico Antonini      
 
  Tasse: riduzioni certe per i più ricchi,
incerte per gli altri

"Gli aspetti fondamentali del documento che deve preparare la Finanziaria vera e propria sembrano tre:
1) tagli agli investimenti (pubblici, ma anche privati);
2) maggiori contributi allo Stato da parte di significativi settori dell'economia (come banche e assicurazioni);
3) aumenti di tasse per categorie sociali che potremmo chiamare medie, ma non troppo (soprattutto gli acquirenti delle seconde case che andrebbero definiti come ‘risparmiatori non speculatori’).
A tutto ciò, giusto o sbagliato che sia, non particolarmente importante o strutturale, dovrebbero però aggiungersi due aspetti certamente più ‘pesanti’, vale a dire la riforma previdenziale e il forte taglio alle imposte attraverso una redifinizione delle aliquote che, in mancanza di forti correttivi dal lato dell'evasione, determina riduzioni certe per i più ricchi e incerte per gli altri.
Insomma, da una parte si ripropone lo spettro della politica neoliberistica clamorosamente fallita negli USA di taglio delle tasse e del Welfare nella prospettiva di maggiori investimenti dei privati (che non arrivano, a parte il settore immobiliare, proprio perché le maggiori disponibilità dei ricchi si trasformano in investimenti se - e, quindi dopo che - c'è una ripresa ed è sbagliato considerare tali maggiori disponibilità come premessa degli investimenti; inoltre le case, pur considerate come ‘investimenti delle famiglie’ sono, in realtà, solo beni rifugio, dato che la crisi finanziaria e delle Borse non è stata ancora superata).
Si tratta, quindi, di un documento che rinvia ad un’altra fase il perseguimento di una possibile ripresa, nella speranza che essa si avvii dall'esterno prima delle elezioni.
Diverso sarebbe stato un piano di rilancio dei trasporti e del Welfare in cambio di un’invarianza della pressione fiscale e di un più serrato sistema di controlli sull'evasione; anche perché - lo si è già osservato in altre occasioni - non conosciamo bene come funziona la nostra economia se non sappiamo spiegare come e perché i valori immobiliari continuino a mantenersi elevatissimi anche nei quartieri cosiddetti popolari. Senza uno stimolo forte alla variazione della produzione, il mantenimento del parametro del 3% sarà sempre più difficile e costoso, forse inutile.
Per ora rischiamo veramente di rimpiangere Giulio Tremonti.

 

 
  COMMISSIONI BANCARIE PIÙ CARE
D'EUROPA PER I RISPARMIATORI ITALIANI

La Cap Gemini e la European Financial Management and Marketing Association hanno effettuato una ricerca esaminando l’andamento delle commissioni bancarie per nove mesi in nove Paesi europei valutando un pacchetto di servizi sostanzialmente analogo ed omogeneo. Da tale ricerca emerge che le banche italiane fanno pagare ai loro clienti le commissioni più care fra quelle di un gruppo di nove paesi europei, ma anche di Canada e Stati Uniti.
Mentre in Italia il costo medio si aggira sui 501.00 _, nel resto d’Europa e oltreoceano si va dai 31.00 _ annuali dell’Olanda al massimo dei 175.00 _ degli Stati Uniti - con tariffe mediamente molto minori che nel nostro paese. La moneta unica europea e il sistema della Banca Centrale Europea avrebbero dovuto prevenire tali profonde diversità di trattamento dei clienti delle Banche. Per questo domandiamo al ministro dell’Economia e delle Finanze se siano state accertate dal governo le ragioni di tali notevolissime e gravi differenze di costi bancari in Europa e chiediamo al Governatore Fazio se la Banca d’Italia abbia effettuato rilevazioni e controlli o dato indicazioni o prescrizioni alle banche su questa tematica.

 

 
 

BANCA 121: L’ASSOLUZIONE DI FAZIO E SPAVENTA,
LA REAZIONE DEL MONTE DEI PASCHI

COLPA DI NESSUNO?

Come si dice: la migliore delle strategie, in certi casi, è non fare nulla. O fare il minimo possibile per aiutare chi deve fare chiarezza. O, nel peggiore dei casi, operare con il preciso obiettivo di celare la verità.
Omissioni, ritardi, scarsa collaborazione con le diverse autorità di vigilanza: queste le accuse che - come ha ricostruito L’Espresso - sono state rivolte dalla Procura di Trani nei confronti del Monte dei Paschi di Siena per la vicenda dei prodotti finanziari ad alto rischio di Banca 121, MyWay e 4you. Accuse che, nel caso specifico, servono alla Procura per documentare la domanda di archiviazione nei confronti del governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, e dell’ex presidente della Consob, Luigi Spaventa. La Banca d’Italia, in particolare - si legge nel documento di 15 pagine - nonostante l’assenza di “un’auspicabile collaborazione” tra Fazio e la Consob, sarebbe intervenuta più volte, almeno dalla metà del 2001.
Quindi Bankitalia sapeva, ma “non vi sono mai state repliche o sanzioni da parte della Vigilanza”, come scrive MPS in comunicato stampa su questa sentenza. La colpa - spiega il pubblico ministero Antonio Savasta, al termine di due mesi di indagini - è del Monte dei Paschi, che avrebbe fornito “scarsa collaborazione alla Vigilanza, in particolare tenendo la Banca d’Italia all’oscuro del fatto che non tutti i prodotti venivano costruiti nella MPS Finance ma che, in parte, erano rimasti in carico alla Banca 121”.
Insomma, pare che anche questa volta la colpa è di tutti. Anzi, no: di nessuno.

 

 
 

“Santa alleanza tra banche e imprese, ma a patto di rilanciare il dialogo sociale, coinvolgendo il sindacato”

Mentre Antonio Fazio risponde “presente” all’appello di Luca Montezemolo che ha chiesto il supporto del credito per le imprese, l’insigne economista prof. Roberto Ruozi, già rettore dell’università Bocconi, ha ammesso che il rapporto fra banche e industria, che fino a una quindicina di anni fa era esplicitamente vietato, “non ha dato risultati incoraggianti”.
Un garbato eufemismo per non dire quello che probabilmente pensa e che la FABI ha sempre sostenuto, cioè che gli effetti di tale commistione sono stati disastrosi. Ruozi, pur non escludendo che sia possibile trasformare i crediti in azioni, ha ribadito che a monte di ogni operazione di questo tipo si impone un progetto industriale serio.

 

 
 

Caro tariffe: cari dottori,
cari avvocati, cari
ingegneri, cari notai...

Potrebbe cominciare a costare parecchio rivolgersi, come si usa dire, a uno “specialista”.
Entro quest’anno, infatti, gli onorari di molti professionisti subiranno aumenti che vanno dal 25 al 30% per l’adeguamento all’inflazione di tariffe ferme ormai da vari anni.
Qualcuno - i notai, per la precisione - ha già fatto salire i propri compensi, con il permesso del governo. Altri (è il caso degli psicologi) hanno deciso autonomamente un rincaro tra il 10 e il 15%, ma ancora aspettano del ministero. In genere, gli aumenti non andrebbero sopra il 30% (che è comunque già rilevante), con l’eccezione dei ragionieri che rivendicano addirittura un aumento del 47%.
Ma il tema delle parcelle è strettamente connesso alla riforma degli ordini professionali, che - nonostante le pressione di Bruxelles - è immobile da oltre un anno.
Già la Commissione Europea, (nella persona dell’ex Commissario Antitrust Mario Monti) ha chiesto da tempo una revisione della normativa sugli ordini professionali in Italia, visto che a livello europeo questi spesso non esistono e le professioni, nella stragrande maggioranza dei casi, sono svolte liberamente. Secondo Monti, gli albi “ostacolano e restringono la concorrenza in misura indebita”.
Chissà, però che questi aumenti, alla fin fine, non possano essere d’ispirazione - e magari spingere i datori di lavoro dei dipendenti ad adeguare anche loro, come i liberi professionisti, gli stipendi dei propri impiegati alla crescita dell’inflazione.
Forse, dopo tutto, gli italiani potrebbero ricominciare ad acquistare e rilanciare un’economia praticamente immobile da sei mesi a questa parte.

 

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