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Tasse:
riduzioni certe per i più ricchi,
incerte per gli altri "Gli
aspetti fondamentali del documento che deve preparare la Finanziaria
vera e propria sembrano tre:
1) tagli agli investimenti (pubblici, ma anche privati);
2) maggiori contributi allo Stato da parte di significativi
settori dell'economia (come banche e assicurazioni);
3) aumenti di tasse per categorie sociali che potremmo chiamare
medie, ma non troppo (soprattutto gli acquirenti delle seconde
case che andrebbero definiti come ‘risparmiatori non
speculatori’).
A tutto ciò, giusto o sbagliato che sia, non particolarmente
importante o strutturale, dovrebbero però aggiungersi
due aspetti certamente più ‘pesanti’, vale
a dire la riforma previdenziale e il forte taglio alle imposte
attraverso una redifinizione delle aliquote che, in mancanza
di forti correttivi dal lato dell'evasione, determina riduzioni
certe per i più ricchi e incerte per gli altri.
Insomma, da una parte si ripropone lo spettro della politica
neoliberistica clamorosamente fallita negli USA di taglio
delle tasse e del Welfare nella prospettiva di maggiori investimenti
dei privati (che non arrivano, a parte il settore immobiliare,
proprio perché le maggiori disponibilità dei
ricchi si trasformano in investimenti se - e, quindi dopo
che - c'è una ripresa ed è sbagliato considerare
tali maggiori disponibilità come premessa degli investimenti;
inoltre le case, pur considerate come ‘investimenti
delle famiglie’ sono, in realtà, solo beni rifugio,
dato che la crisi finanziaria e delle Borse non è stata
ancora superata).
Si tratta, quindi, di un documento che rinvia ad un’altra
fase il perseguimento di una possibile ripresa, nella speranza
che essa si avvii dall'esterno prima delle elezioni.
Diverso sarebbe stato un piano di rilancio dei trasporti e
del Welfare in cambio di un’invarianza della pressione
fiscale e di un più serrato sistema di controlli sull'evasione;
anche perché - lo si è già osservato
in altre occasioni - non conosciamo bene come funziona la
nostra economia se non sappiamo spiegare come e perché
i valori immobiliari continuino a mantenersi elevatissimi
anche nei quartieri cosiddetti popolari. Senza uno stimolo
forte alla variazione della produzione, il mantenimento del
parametro del 3% sarà sempre più difficile e
costoso, forse inutile.
Per ora rischiamo veramente di rimpiangere Giulio Tremonti.
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COMMISSIONI BANCARIE PIÙ CARE
D'EUROPA PER I RISPARMIATORI ITALIANI
La
Cap Gemini e la European Financial Management and Marketing
Association hanno effettuato una ricerca esaminando l’andamento
delle commissioni bancarie per nove mesi in nove Paesi europei
valutando un pacchetto di servizi sostanzialmente analogo
ed omogeneo. Da tale ricerca emerge che le banche italiane
fanno pagare ai loro clienti le commissioni più care
fra quelle di un gruppo di nove paesi europei, ma anche di
Canada e Stati Uniti.
Mentre in Italia il costo medio si aggira sui 501.00 _, nel
resto d’Europa e oltreoceano si va dai 31.00 _ annuali
dell’Olanda al massimo dei 175.00 _ degli Stati Uniti
- con tariffe mediamente molto minori che nel nostro paese.
La moneta unica europea e il sistema della Banca Centrale
Europea avrebbero dovuto prevenire tali profonde diversità
di trattamento dei clienti delle Banche. Per questo domandiamo
al ministro dell’Economia e delle Finanze se siano state
accertate dal governo le ragioni di tali notevolissime e gravi
differenze di costi bancari in Europa e chiediamo al Governatore
Fazio se la Banca d’Italia abbia effettuato rilevazioni
e controlli o dato indicazioni o prescrizioni alle banche
su questa tematica. •
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BANCA
121: L’ASSOLUZIONE DI FAZIO E SPAVENTA,
LA REAZIONE DEL MONTE DEI PASCHI
COLPA DI NESSUNO?
Come
si dice: la migliore delle strategie, in certi casi, è
non fare nulla. O fare il minimo possibile per aiutare chi
deve fare chiarezza. O, nel peggiore dei casi, operare con
il preciso obiettivo di celare la verità.
Omissioni, ritardi, scarsa collaborazione con le diverse autorità
di vigilanza: queste le accuse che - come ha ricostruito L’Espresso
- sono state rivolte dalla Procura di Trani nei confronti
del Monte dei Paschi di Siena per la vicenda dei prodotti
finanziari ad alto rischio di Banca 121, MyWay e 4you. Accuse
che, nel caso specifico, servono alla Procura per documentare
la domanda di archiviazione nei confronti del governatore
della Banca d’Italia, Antonio Fazio, e dell’ex
presidente della Consob, Luigi Spaventa. La Banca d’Italia,
in particolare - si legge nel documento di 15 pagine - nonostante
l’assenza di “un’auspicabile collaborazione”
tra Fazio e la Consob, sarebbe intervenuta più volte,
almeno dalla metà del 2001.
Quindi Bankitalia sapeva, ma “non vi sono mai state
repliche o sanzioni da parte della Vigilanza”, come
scrive MPS in comunicato stampa su questa sentenza. La colpa
- spiega il pubblico ministero Antonio Savasta, al termine
di due mesi di indagini - è del Monte dei Paschi, che
avrebbe fornito “scarsa collaborazione alla Vigilanza,
in particolare tenendo la Banca d’Italia all’oscuro
del fatto che non tutti i prodotti venivano costruiti nella
MPS Finance ma che, in parte, erano rimasti in carico alla
Banca 121”.
Insomma, pare che anche questa volta la colpa è di
tutti. Anzi, no: di nessuno.•
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“Santa
alleanza tra banche e imprese, ma a patto di rilanciare il
dialogo sociale, coinvolgendo il sindacato”
Mentre
Antonio Fazio risponde “presente” all’appello
di Luca Montezemolo che ha chiesto il supporto del credito
per le imprese, l’insigne economista prof. Roberto Ruozi,
già rettore dell’università Bocconi, ha
ammesso che il rapporto fra banche e industria, che fino a
una quindicina di anni fa era esplicitamente vietato, “non
ha dato risultati incoraggianti”.
Un garbato eufemismo per non dire quello che probabilmente
pensa e che la FABI ha sempre sostenuto, cioè che gli
effetti di tale commistione sono stati disastrosi. Ruozi,
pur non escludendo che sia possibile trasformare i crediti
in azioni, ha ribadito che a monte di ogni operazione di questo
tipo si impone un progetto industriale serio. •
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Caro
tariffe: cari dottori,
cari avvocati, cari
ingegneri, cari notai...
Potrebbe
cominciare a costare parecchio rivolgersi, come si usa dire,
a uno “specialista”.
Entro quest’anno, infatti, gli onorari di molti professionisti
subiranno aumenti che vanno dal 25 al 30% per l’adeguamento
all’inflazione di tariffe ferme ormai da vari anni.
Qualcuno - i notai, per la precisione - ha già fatto
salire i propri compensi, con il permesso del governo. Altri
(è il caso degli psicologi) hanno deciso autonomamente
un rincaro tra il 10 e il 15%, ma ancora aspettano del ministero.
In genere, gli aumenti non andrebbero sopra il 30% (che è
comunque già rilevante), con l’eccezione dei
ragionieri che rivendicano addirittura un aumento del 47%.
Ma il tema delle parcelle è strettamente connesso alla
riforma degli ordini professionali, che - nonostante le pressione
di Bruxelles - è immobile da oltre un anno.
Già la Commissione Europea, (nella persona dell’ex
Commissario Antitrust Mario Monti) ha chiesto da tempo una
revisione della normativa sugli ordini professionali in Italia,
visto che a livello europeo questi spesso non esistono e le
professioni, nella stragrande maggioranza dei casi, sono svolte
liberamente. Secondo Monti, gli albi “ostacolano e restringono
la concorrenza in misura indebita”.
Chissà, però che questi aumenti, alla fin fine,
non possano essere d’ispirazione - e magari spingere
i datori di lavoro dei dipendenti ad adeguare anche loro,
come i liberi professionisti, gli stipendi dei propri impiegati
alla crescita dell’inflazione.
Forse, dopo tutto, gli italiani potrebbero ricominciare ad
acquistare e rilanciare un’economia praticamente immobile
da sei mesi a questa parte.
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