di Sofia Cecconi Consulente Legale Fabi      
Risposte ai quesiti
 
Novità giurisprudenziali
 
 
La sede della
Suprema Corte di Cassazione
 
  SUGLI OBBLIGHI DI FORMAZIONE
DEL DATORE DI LAVORO

Vorrei sapere quali sono gli obblighi di formazione della banca nei confronti dei propri dipendenti, dato che quella presso cui lavoro non ha effettuato – almeno negli ultimi dieci anni, ovvero da quando sono stato assunto – alcun corso formativo e/o di aggiornamento professionale. Le uniche informazioni (sui cambiamenti della legislazione, sulle procedure interne ed altro) a disposizione dei dipendenti vengono comunicate attraverso circolari, non sempre chiare, talvolta non conosciute da tutti e delle quali, oltretutto, non sempre è possibile prendere visione durante l’orario di lavoro a causa della mancanza di tempo (...).
Al di là delle possibili responsabilità disciplinari (e non solo) che potrebbero scaturire per l’”ignoranza” su determinate materie, mi preoccupa soprattutto l’impoverimento, nel tempo, delle mie conoscenze professionali e le difficoltà che ciò potrebbe determinare per una mia eventuale necessità di ricollocazione sul mercato del lavoro.

(lettera firmata)

 
 

Il contratto collettivo nazionale di lavoro dei bancari (art. 54 ABI 1999; art. 63 FEDERCASSE 2000) prevede la c.d. «formazione continua» del personale, e, fra le altre cose, la sponsorizza come forma di tutela dell’occupazione, come strumento di mobilità, come elemento di valutazione e di selezione delle risorse umane. All’uopo è previsto un c.d. pacchetto formativo non inferiore a 24 ore annuali da svolgere durante il normale orario di lavoro ed un ulteriore pacchetto di 26 ore annuali, di cui 8 retribuite, da svolgere in orario di lavoro e le residue 18 non retribuite, da svolgere fuori dal normale orario di lavoro; tale formazione può essere svolta, con adeguata strumentazione informatica, anche tramite autoformazione.
L’equivoco, in cui, a quanto pare, cadono molte banche, è quello di ritenere che la formazione e/o l’autoformazione dei lavoratori possa essere effettuata:
a) nell’adempimento dei compiti lavorativi; b) attraverso la semplice diffusione di circolari informative. Ma ciò non corrisponde allo spirito della norma ed alla volontà delle parti stipulanti.
La formazione durante l’orario di lavoro, infatti, deve svolgersi al di fuori degli impegni lavorativi e con l’impiego di docenti, oltre che con l’autoformazione. In sostanza, la banca deve indicare al lavoratore le giornate e/o le frazioni temporali specifiche dedicate alla sola formazione, quand’anche questa sia effettuata a mezzo di autoformazione, nonché deve garantire l’effettività della stessa attraverso l’individuazione di soggetti a ciò deputati, che possano trasmettere ai dipendenti le principali nozioni necessarie all’aggiornamento professionale, oltre che chiarire i loro eventuali dubbi.
Tale impostazione viene seguita anche dalla giurisprudenza di legittimità (v. in tal senso Cass., sez. lav., 1 giugno 2002, n. 7967), la quale ritiene che il rapporto di lavoro subordinato, che non è puramente di scambio (ex artt. 1174 e 1321 c.c.), recando al lavoratore non solo un mezzo di sostentamento e di guadagno, ma anche un mezzo di estrinsecazione della personalità, (artt. 2, 1º comma, 4, 1º comma, e 35, 1º comma Cost.), debba necessariamente coniugarsi con i precetti costituzionali di tutela della persona e debba dunque garantire all’individuo anche il diritto alla formazione continua, in ragione dell’importanza assurta dalla professionalità del lavoratore nell’attuale momento storico-economico.
La disciplina contrattuale, fra l’altro, prevede che la banca debba effettuare ogni anno entro febbraio con il sindacato aziendale (o locale) una valutazione congiunta su programmi, criteri, finalità, tempi e modalità dei corsi. E, comunque, nell’ambito della stessa disciplina si prevede anche che la banca debba portare a conoscenza del personale “tempi, modalità di effettuazione e programmi dei corsi”.
Pertanto si suggerisce all’interessato di richiedere al proprio rappresentante sindacale – se vuole evitare di inoltrare, come pure potrebbe, la richiesta direttamente al datore di lavoro – le informazioni che riguardano i pacchetti formativi per l’anno in corso e, cosa che talvolta capita, nel caso in cui l’azienda non abbia effettuato l’esame congiunto e non abbia adempiuto agli obblighi contrattuali sopra citati, verificare quali sono state le iniziative sindacali in proposito, al fine di inserirsi nel solco già tracciato e rivendicare gli eventuali danni conseguenti alla mancata formazione.

SULLA PROPORZIONALITÀ DEGLI ADDEBITI
NEL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE

Cassazione, sezione lavoro, 15 aprile 2004, n. 7222
In tema di licenziamento disciplinare, il giudizio di proporzionalità della sanzione irrogata, ovvero la valutazione della gravità dell’infrazione e della sua idoneità ad integrare giusta causa di licenziamento, si sostanzia nell’accertamento che la specifica mancanza commessa dal dipendente, in relazione a tutte le circostanze del caso concreto, risulti obiettivamente e soggettivamente idonea a ledere in modo grave la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente tale da giustificare una sanzione non inferiore a quella espulsiva.


NOTA
L
a sentenza in commento tratta l’interessante caso accaduto ad un ufficiale di riscossione dell’esattoria, il quale era stato licenziato per aver commesso taluni inadempimenti. In un primo momento, il provvedimento era stato riconosciuto legittimo, ma, successivamente, il lavoratore era stato reintegrato con la riforma della sentenza di primo grado, venendo riconosciuta l’illegittimità del licenziamento dovuto a carenza di proporzionalità.
In particolare, il datore di lavoro aveva contestato al dipendente di avere fatto scadere un numero rilevante di posizioni debitorie, di aver compilato verbali di pignoramento negativi o di irreperibilità, in maniera incompleta, o addirittura infedele e di avere accettato in pagamento, in un caso, un assegno di importo elevato emesso fuori piazza da terza persona, risultato privo di provvista, senza il preventivo assenso dei superiori gerarchici. Il provvedimento espulsivo, come anticipato, è stato ritenuto legittimo in primo grado ma è stato poi annullato in sede di gravame.
Il giudice di appello, infatti, ha filtrato le condotte addebitate al lavoratore attraverso il principio di proporzionalità, ritenendo che queste non integrassero quei requisiti di eccezionale gravità tali da giustificare il licenziamento. Il lavoratore, infatti, non aveva precedenti disciplinari, la sua condotta corrispondeva a prassi operative presenti nell’ambiente di lavoro e praticate da tutti i colleghi, autorizzate e/o comunque tollerate dai responsabili di sportello della direzione; il lavoratore, inoltre, era gravato da onerosi carichi di lavoro ed il suo comportamento era improntato al perseguimento dell’intesse aziendale tendente al conseguimento di una maggiore efficacia ed utilità dell’azione di recupero.
La suprema corte, in ultima istanza, ha confermato la correttezza della decisione della Corte di Appello, affermando l’importante principio di diritto della «contestualizzazione» degli addebiti disciplinari. Cosicché, in quest’ottica, la gravità dell’inadempimento può sfumare dinanzi ad una valutazione che tenga conto del contesto storico-ambientale e soggettivo del comportamento, non potendo – come nel caso in questione – venir meno all’improvviso il vincolo fiduciario, durato per anni, per condotte non conformi alle regole, ma poste in essere senza danno per l’azienda e nell’interesse di questa.