|
Il
contratto collettivo nazionale di lavoro dei bancari (art. 54 ABI 1999;
art. 63 FEDERCASSE 2000) prevede la c.d. «formazione continua»
del personale, e, fra le altre cose, la sponsorizza come forma di tutela
dell’occupazione, come strumento di mobilità, come elemento
di valutazione e di selezione delle risorse umane. All’uopo è
previsto un c.d. pacchetto formativo non inferiore a 24 ore annuali da
svolgere durante il normale orario di lavoro ed un ulteriore pacchetto
di 26 ore annuali, di cui 8 retribuite, da svolgere in orario di lavoro
e le residue 18 non retribuite, da svolgere fuori dal normale orario di
lavoro; tale formazione può essere svolta, con adeguata strumentazione
informatica, anche tramite autoformazione.
L’equivoco, in cui, a quanto pare, cadono molte banche, è
quello di ritenere che la formazione e/o l’autoformazione dei lavoratori
possa essere effettuata:
a) nell’adempimento dei compiti lavorativi; b)
attraverso la semplice diffusione di circolari informative. Ma ciò
non corrisponde allo spirito della norma ed alla volontà delle
parti stipulanti.
La formazione durante l’orario di lavoro, infatti, deve svolgersi
al di fuori degli impegni lavorativi e con l’impiego di docenti,
oltre che con l’autoformazione. In sostanza, la banca deve indicare
al lavoratore le giornate e/o le frazioni temporali specifiche dedicate
alla sola formazione, quand’anche questa sia effettuata
a mezzo di autoformazione, nonché deve garantire l’effettività
della stessa attraverso l’individuazione di soggetti a ciò
deputati, che possano trasmettere ai dipendenti le principali nozioni
necessarie all’aggiornamento professionale, oltre che chiarire i
loro eventuali dubbi.
Tale impostazione viene seguita anche dalla giurisprudenza di legittimità
(v. in tal senso Cass., sez. lav., 1 giugno 2002, n. 7967), la quale ritiene
che il rapporto di lavoro subordinato, che non è puramente di scambio
(ex artt. 1174 e 1321 c.c.), recando al lavoratore non solo un mezzo di
sostentamento e di guadagno, ma anche un mezzo di estrinsecazione della
personalità, (artt. 2, 1º comma, 4, 1º comma, e 35, 1º
comma Cost.), debba necessariamente coniugarsi con i precetti costituzionali
di tutela della persona e debba dunque garantire all’individuo anche
il diritto alla formazione continua, in ragione dell’importanza
assurta dalla professionalità del lavoratore nell’attuale
momento storico-economico.
La disciplina contrattuale, fra l’altro, prevede che la banca debba
effettuare ogni anno entro febbraio con il sindacato aziendale (o locale)
una valutazione congiunta su programmi, criteri, finalità, tempi
e modalità dei corsi. E, comunque, nell’ambito della stessa
disciplina si prevede anche che la banca debba portare a conoscenza
del personale “tempi, modalità di effettuazione e programmi
dei corsi”.
Pertanto si suggerisce all’interessato di richiedere al proprio
rappresentante sindacale – se vuole evitare di inoltrare, come pure
potrebbe, la richiesta direttamente al datore di lavoro – le informazioni
che riguardano i pacchetti formativi per l’anno in corso e, cosa
che talvolta capita, nel caso in cui l’azienda non abbia effettuato
l’esame congiunto e non abbia adempiuto agli obblighi contrattuali
sopra citati, verificare quali sono state le iniziative sindacali in proposito,
al fine di inserirsi nel solco già tracciato e rivendicare gli
eventuali danni conseguenti alla mancata formazione.
SULLA PROPORZIONALITÀ
DEGLI ADDEBITI
NEL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE
Cassazione, sezione lavoro, 15 aprile
2004, n. 7222
In tema di licenziamento disciplinare, il giudizio di proporzionalità
della sanzione irrogata, ovvero la valutazione della gravità dell’infrazione
e della sua idoneità ad integrare giusta causa di licenziamento,
si sostanzia nell’accertamento che la specifica mancanza commessa
dal dipendente, in relazione a tutte le circostanze del caso concreto,
risulti obiettivamente e soggettivamente idonea a ledere in modo grave
la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente tale
da giustificare una sanzione non inferiore a quella espulsiva.
NOTA
La sentenza in commento tratta l’interessante caso accaduto
ad un ufficiale di riscossione dell’esattoria, il quale era stato
licenziato per aver commesso taluni inadempimenti. In un primo momento,
il provvedimento era stato riconosciuto legittimo, ma, successivamente,
il lavoratore era stato reintegrato con la riforma della sentenza di primo
grado, venendo riconosciuta l’illegittimità del licenziamento
dovuto a carenza di proporzionalità.
In particolare, il datore di lavoro aveva contestato al dipendente di
avere fatto scadere un numero rilevante di posizioni debitorie, di aver
compilato verbali di pignoramento negativi o di irreperibilità,
in maniera incompleta, o addirittura infedele e di avere accettato in
pagamento, in un caso, un assegno di importo elevato emesso fuori piazza
da terza persona, risultato privo di provvista, senza il preventivo assenso
dei superiori gerarchici. Il provvedimento espulsivo, come anticipato,
è stato ritenuto legittimo in primo grado ma è stato poi
annullato in sede di gravame.
Il giudice di appello, infatti, ha filtrato le condotte addebitate al
lavoratore attraverso il principio di proporzionalità, ritenendo
che queste non integrassero quei requisiti di eccezionale gravità
tali da giustificare il licenziamento. Il lavoratore, infatti, non aveva
precedenti disciplinari, la sua condotta corrispondeva a prassi operative
presenti nell’ambiente di lavoro e praticate da tutti i colleghi,
autorizzate e/o comunque tollerate dai responsabili di sportello della
direzione; il lavoratore, inoltre, era gravato da onerosi carichi di lavoro
ed il suo comportamento era improntato al perseguimento dell’intesse
aziendale tendente al conseguimento di una maggiore efficacia ed utilità
dell’azione di recupero.
La suprema corte, in ultima istanza, ha confermato la correttezza della
decisione della Corte di Appello, affermando l’importante principio
di diritto della «contestualizzazione» degli addebiti disciplinari.
Cosicché, in quest’ottica, la gravità dell’inadempimento
può sfumare dinanzi ad una valutazione che tenga conto del contesto
storico-ambientale e soggettivo del comportamento, non potendo –
come nel caso in questione – venir meno all’improvviso il
vincolo fiduciario, durato per anni, per condotte non conformi alle regole,
ma poste in essere senza danno per l’azienda e nell’interesse
di questa.
|
|
|