di Domenico Secondulfo
Docente di Sociologia Generale e di Sociologia dei Processi Culturali
Università di Verona
   
Internet: piazza o supermercato?
   
   
   
 
 

Sono ormai passati molti anni da quando la nascita della rete planetaria, poi chiamata Internet, aveva fatto battere il cuore a molti idealisti, che vedevano in questo nuovo, enorme, strumento di comunicazione un’epocale possibilità di rilanciare la democrazia partecipata e dal basso. Con la creazione del cyberspazio si veniva a costituire, concretamente, quell’utopia di comunicare direttamente tutti con tutti che, dai tempi dell’agorà ateniese è rimasta, nella mente di noi occidentali, come l'età dell'oro della libertà e della democrazia. Non a caso, in questi primi anni, vi fu tutto un fiorire di comunità virtuali, città e piazze virtuali, con l'intento di allargare a macchia d'olio l'interscambio orizzontale tra i partecipanti alla rete, in alternativa, utopica alternativa, allo scadimento che le potenzialità partecipative delle democrazie occidentali, stavano mostrando con l'avvento delle multinazionali, con la concentrazione del potere e con le manipolazioni mediatiche di cittadini ormai ridotti a "masse" di utenti, di ascoltatori, di consumatori, ma mai di cittadini. Si trattò di una stagione tanto affascinante quanto breve, e proprio pochi mesi fa, abbiamo salutato il fallimento dell'ultima di quelle iniziative ancora rimasta in piedi, la famosa "città invisibile", che per anni aveva cercato di costruire un punto di incontro e di scambio tra i cybernauti. Ma si potrebbe dire che, se queste iniziative che tentavano di trasportare nello spazio comunicativo di Internet quelle che erano le vecchie strutture partecipative della democrazia ideale sono, infine, fallite, non è domo lo spirito di indipendenza, libertà e partecipazione che le animava.


Come spesso accade, il nuovo strumento di comunicazione porta quelle spinte che, in altre situazioni, si erano canalizzate in determinate strutture, come ad esempio la piazza, a prendere altre forme, a coniugare diversamente il proprio potenziale. È quello che è accaduto con Internet. La spinta libertaria e partecipativa che questo grande spazio comunicativo permetteva di concretizzare, anziché prendere la strada della vecchia agorà ateniese si è sviluppata nel senso dello scambio e del dono. Nonostante i ripetuti tentativi di criminalizzare questa propensione al dono, che ha informato le strutture di scambio che si sono generate sulla rete, come i cosiddetti peer-to-peer (attività stimata, come partecipanti attivi, in circa il 17% delle persone connesse, soprattutto sotto i 25 anni o al di sopra dei 55), mettendole in grado di potersi attivare nel rispetto del diritto d'autore, anziché utilizzare strategie di intimidazione - per via legale perseguendo, sperando nel famoso adagio "colpiscine uno, educane cento", alcuni casi ed ignorando invece la domanda sociale che promanava dall'uso e dalla diffusione di questi scambi, oppure per via informatica diffondendo virus e siti-civetta, per colpire gli utilizzatori di queste strutture di scambio - nonostante tutto questo, dicevo, lo spirito di scambio, di dono e di indipendenza insito nella rete delle reti continua a vivere. Ed a vivere, ad esempio, nella statistica diffusa, qualche tempo fa, da un’organizzazione americana che ha monitorato l'uso sociale di Internet. Questa organizzazione (pewinternet.org), attraverso le proprie indagini, afferma che addirittura il 44% degli americani connessi alla rete, contribuisce in qualche modo a produrre il materiale (informazioni, testi, foto, files, siti web ecc.) che fluisce su Internet, generando propri contenuti ed offrendoli all'uso pubblico. Il 44%, nei comportamenti sociali, è una cifra enorme, significa quasi uno su due, equivale, praticamente, a dire "tutti". Tra questi, la maggior parte, quasi il 20%, contribuisce soprattutto scambiando files con altri utenti, essenzialmente per il desiderio di condividerli e donarli, vista l'impossibilità di pensare ad un meccanismo che possa permettere la rendicontazione ed il pagamento di un numero così elevato e frammentato di scambi. Altro dato interessante, il 10% ha inviato commenti e messaggi a newsgroup, i famosi gruppi di discussione, una delle risorse più antiche e meno pubblicizzate della rete, in cui gli utenti interagiscono tra loro e si scambiano informazioni senza passare dai siti, le vetrine del web, che costituiscono l’aspetto più noto, più pubblicizzato e più attraente, ma meno partecipativo ed interattivo della rete. Se vogliamo usare l’analogia urbana, i newsgroup sono i bar ed i siti le vetrine. Ancora una volta, è la rete che ci offre un segnale chiaro di come in futuro sia necessario abbandonare le tecnologie della comunicazione di massa, nonché la mentalità autoritaria che ad essa si associa, e come, anche dal punto di vista economico, lo sviluppo indichi la strada della facilitazione della comunicazione "dal basso", e non quella dell’imposizione vertice-periferia, tipica delle strutture di massa come la televisione o i sistemi di distribuzione delle merci. Se il discorso può sembrare vago, si pensi alla diffusione dei telefonini, nati come status symbol per manager impegnati e per sostenere strategiche comunicazioni aziendali, sviluppatisi poi come mercato di massa, come strumenti di socializzazione orizzontale e di comunicazione tra pari, sostenendo le reti affettive ed amicali con un flusso costante di "chiacchiere" o, più recentemente, di messaggi scritti che, si noti, costituiscono ormai più del 10% del fatturato dei vari operatori telefonici. Le strategie basate sul controllo attraverso strumenti di comunicazione intimidatori ed autoritari, di masse di clienti da gestire come un proprio patrimonio, cui vendere ciò che si ritiene più vantaggioso, è sicuramente una strategia non soltanto vecchia ma destinata al fallimento, come dimostra anche l'infinito braccio di ferro tra le reti di scambio su Internet e le case discografiche, ostinate ad intimidire la propria clientela anziché offrirle ciò che essa richiede. Questa fusione tra Internet e la logica del dono e della condivisione, è sicuramente una linea molto interessante di contatto attraverso le macchine telematiche, un contatto che riscalda quella comunicazione che, altrimenti, le macchine rischiano di sterilizzare, ed è forse una delle strade per sviluppare nuove socialità e nuovi rapporti umani, in una post modernità che vedrà sempre di più le persone nomadi tra lavori, affetti, città, quindi bisognose di mani lunghe che si tengano comunque intrecciate, anche attraverso le macchine telematiche.