di Sofia Cecconi Consulente Legale Fabi      
 
Novità giurisprudenziali
 
Risposte ai quesiti
 
 
  MOTIVI DEL LICENZIAMENTO
IN CASO DI SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO

CASSAZIONE, SEZIONE LAVORO, 3 AGOSTO 2004, N. 14873.
È inefficace il licenziamento per superamento del periodo di comporto (ai sensi dell’art. 2 l. n. 604 del 1966), qualora il datore di lavoro ometta di specificare le assenze calcolate ai fini del superamento del comporto stesso, ove ciò sia richiesto dal lavoratore.

 
 

NOTA
La sentenza in commento concerne la vicenda di un dipendente bancario, licenziato a causa del superamento del periodo di comporto, motivato dall’azienda con il rilievo che le assenze per malattia avevano superato il periodo massimo di conservazione del posto di lavoro (c.d. “comporto”) fissato dal contratto collettivo in diciotto mesi.
Il lavoratore, a fronte del rifiuto dell’azienda di dar seguito alla sua richiesta di specificazione delle assenze calcolate ai fini del superamento del comporto, ha impugnato il licenziamento davanti al Tribunale di Cosenza, il quale, in prima istanza, rigettato la domanda e, analogamente, la decisione è stata confermata anche in appello.
Il lavoratore ha proposto così ricorso per Cassazione insistendo nella sua tesi, ovvero quella dell’insufficienza di motivazione nel provvedimento di recesso poiché nella lettera di licenziamento non erano state indicate con precisione le assenze.
La Suprema Corte, confermando un proprio precedente orientamento (Cass. sez. lav., n. 18199 del 2002 e n. 7316 del 2002) ha finalmente accolto il ricorso del lavoratore, osservando che l’art. 2 della l. n. 604 del 1966 sulla forma del licenziamento e comunicazione dei motivi si applica anche al recesso per superamento del periodo di comporto. La Corte ha infatti sostenuto che i motivi del licenziamento devono contenere tutti gli elementi volti a consentire al lavoratore di esercitare il suo diritto di difesa, che non si risolve nella sola difesa giudiziaria, ma anche nel diritto di impugnare consapevolmente il licenziamento nei termini previsti dalla legge e nel valutare la convenienza o meno di intraprendere un’azione giudiziaria.
In conclusione, quindi, la decisione in commento rafforza gli obblighi motivazione del licenziamento posti in capo al datore di lavoro, garantendo al dipendente il diritto a comprendere in forma completa e chiara le ragioni del recesso.

MANSIONI SUPERIORI
“IN SOSTITUZIONE”:
QUALI DIRITTI SE L'ASSEGNAZIONE È SOLO FORMALE?

Sono un dipendente bancario con qualifica di impiegato. Nell’organigramma aziendale figuro come “sostituto” del preposto all’agenzia (inquadrato come quadro direttivo); in realtà, da circa un anno, l’azienda ha destinato quest’ultimo ad attività completamente diverse da quelle in precedenza espletate, tanto che, addirittura, lo stesso non è più presente in agenzia (...). Di conseguenza, io svolgo quotidianamente i compiti del suddetto.
Alla luce di quanto esposto ritengo di non essere più un semplice “sostituto”, ma di avere diritto al consolidamento della qualifica e della retribuzione relativa alle mansioni superiori da me effettivamente svolte.

(lettera firmata)

Il problema va innanzitutto esaminato alla luce della disciplina legislativa e contrattuale vigente. Riguardo alla prima, si evidenzia come l’art. 2103 del c.c. nel prevedere che nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta (art. 36 Cost.), precisa anche che l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. L’art. 6, l. 13 maggio 1985 n. 190 (nel testo sostituito dall’art. 1, l. 2 aprile 1986 n. 106), inoltre, in deroga all’art. 2103 c.c., consente alla contrattazione collettiva di prevedere un termine superiore a quello ordinario di tre mesi, affinché l’assegnazione alle mansioni di quadro divenga definitiva.
Passando dunque alla disciplina convenzionale, si segnala che l’art. 67, ccnl 11 luglio 1999 (applicabile nel caso di specie) prevede che l’assegnazione del lavoratore alla categoria dei quadri direttivi, ovvero dei relativi livelli retributivi, diviene definitiva quando sia protratta per il periodo di 5 mesi, a meno che non sia avvenuta in sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto. La previsione convenzionale, secondo la giurisprudenza (Cass. sez. lav. 16 giugno 2001, n. 8166), può essere utilizzata nel caso in esame, escludendosi la sua riferibilità alle sole ipotesi di passaggi meramente interni alla stessa categoria, risultando altrimenti snaturato il senso ampio ed omnicomprensivo della disciplina legislativa garantistica.
Venendo ora al caso sottoposto dal richiedente, si osserva come sia abbastanza frequente che le aziende adottino un organigramma difforme – guarda caso (quasi) sempre a svantaggio del lavoratore – rispetto all’effettiva organizzazione aziendale. Di per sé, tuttavia, l’organigramma non ha valore probatorio, per cui l’eventuale giudizio sul corretto inquadramento del dipendente può prescindere dall’unilaterale definizione che di questo ne viene data attraverso l’organigramma dal datore di lavoro.
Se dunque il lavoratore in questione non ha espletato la semplice funzione di sostituto, ma ha espletato l’attività lavorativa occupando un posto rimasto vacante e, per di più, ha svolto in concreto mansioni qualificabili come superiori, lo stesso ha diritto all’inquadramento nella categoria dei quadri dopo cinque mesi di effettivo svolgimento di tali mansioni.
Ricapitolando, dunque, il richiedente, nel caso in cui intenda agire in giudizio, dovrà verificare la sussistenza dei due presupposti sotto evidenziati, avendo infatti egli stesso l’onere di allegare e di provare gli elementi posti a base della domanda. Il particolare il lavoratore dovrà dimostrare:
a – la vacanza non temporanea della posizione di preposto. Ed infatti, occorre dimostrare come, nonostante la posizione di preposto a succursale sia assegnata dall’organigramma della banca ad un soggetto diverso, la stessa sia effettivamente espletata dal richiedente, trovandosi pertanto quest’ultimo nella posizione di “titolare” del posto e non in quella di “sostituto”;
b – la sussistenza di tutti gli elementi di fatto e di diritto indicati nella declaratoria contrattuale dei quadri (art. 66 ccnl 1999) al raffronto con le mansioni svolte (Cass. sez. lav., 21.05.2003, n. 8025). A tal fine, è appena il caso di ricordare, che non si può applicare tout court il principio paritario dell’acquisizione dell’inquadramento per identità di mansioni fra un lavoratore ed un altro.
In conclusione, pertanto, il lavoratore ha la possibilità di far prevalere la realtà sulla forma a condizione che sia in grado di dimostrare, in caso di diniego dell’azienda e, di conseguenza, dell’instaurazione di un giudizio, le proprie ragioni.