di Arturo    
 
Autoritratto,
1927-28
olio su tela.
 
Fantasia
1942 ca,
olio su tela
 
Case al Foro Traiano
1930,
olio su tela
 
Piazza Mignanelli
1942,
olio su tela
 
  CASA MAFAI - Brescia, Museo di Santa Giulia, sino al 20 marzo 2005
   
  Demolizioni in via Gallia
1936, olio
su tela
   
 
Natura morta con fiori
1942,
olio su tela
   
Tramonto sul Lungotevere
1929,
olio su compensato
   
 
   
 

"Ho vissuto la natura come la vivono gli uccelli. Gli alberi, le case, le vie, gli insetti, tutto era bello, si trasformavano entro di me nel loro seme di bellezza e di vita”. Con queste parole, Mario Mafai descriveva la propria idea d’arte.
Nel quarantesimo anniversario della scomparsa del pittore, avvenuta nel ’65, molte le iniziative che celebrano uno dei massimi protagonisti dell’arte italiana fra le due guerre, tra cui la mostra bresciana che segue quella splendida di Palazzo Venezia, a Roma.
Oltre trenta opere, scelte da Marco Goldin e Fabrizio D’Amico, permettono al visitatore di ripercorrere, attraverso quadri di valore assoluto, l’intero arco dell’esperienza artistica di Mafai.
Dal sodalizio con Scipione e Antonietta Raphael ebbe origine la “Scuola di Via Cavour”, una definizione che si deve al critico Roberto Longhi il quale, nel 1929, segnalava il carattere espressionista delle ricerche del terzetto come una delle più interessanti novità nel contesto romano, opposta al formalismo arcaizzante e monumentale dell'arte del tempo.
Ed era a Via Cavour la casa in cui Mafai abitava con la sua compagna, Antonietta Raphael, dalla quale ebbe le tre figlie Miriam, Simona e Giulia: quella stessa casa che il pittore vide demolire nel ventennio fascista per far spazio alla nuova Via dell’Impero.
Mafai andrà letto non solo nel segno di questo gruppo che sostanzialmente identifica un sodalizio umano, più che una vera e propria corrente, ma soprattutto per aver tradotto con linguaggio nuovo ansie e turbamenti che sono stati sì di tutta un’epoca, tra le più tragiche della nostra storia, ma che per lui hanno avuto prima di tutto valenza esistenziale.
Senza dunque concedersi completamente al realismo sociale, la sua pittura, che per molto tempo fu venata di un espressionismo discreto, liricamente doloroso, seppe tradurre, per tragiche Fantasie, i drammi del tempo.
Dopo il periodo più intenso della Scuola di Via Cavour, conclusosi drammaticamente con la morte di Scipione nel 1933, per Mafai prosegue con i dipinti dedicati ai fiori, che denotano la scelta di motivi intimi e dimessi, e poi con le 'demolizioni', documento degli interventi urbanistici del fascismo, fino al dramma della guerra.
Nel 1939 Mafai si trasferisce con la famiglia a Genova, per sottrarre Antonietta alle discriminazioni razziali. Ai primi anni Quaranta risale la serie Fantasia, un insieme di dipinti ispirati alle drammatiche esperienze di quegli anni e chiaramente influenzati dalle 'pitture nere' di Goya e dall'espressionismo nordico.
Da Ungaretti a de Libero, da Sinisgalli, a Beccaria, a Falqui, furono molti gli uomini di cultura che intrattennero con lui proficui rapporti d’amicizia e di lavoro
Il dopoguerra vede Mafai attraversare un breve periodo neorealista, come mostra l'Osteria di Via Flaminia, mentre a partire dalla fine degli anni Cinquanta si orienta verso l'informale e la pittura materica: abbandona il riferimento stretto alla realtà sostituendolo con pure tessiture cromatiche, fino alla serie delle Corde.
Un tema rimane costante nella sua produzione, ed è la città di Roma: Mafai ha evocato l’Urbe nell'intero arco della sua carriera, rappresentandone gli scorci più suggestivi, i mutamenti, le ferite provocate dagli interventi demolitori, il dramma della guerra, fino ai paesaggi dell'ultimo periodo, come il Tramonto sull'Appia Antica, quando ormai si era avviato all'astrattismo.
In realtà, quella che la critica ha definito la fase astratta della sua opera, altro non è se non un processo che i titoli delle sue ultime opere ben sintetizzano: alla fine bisogna Cancellare la memoria (1959) e dipingere solo Ciò che rimane (1960), ovvero la Solitudine (1961).