Chi possiede un fabbricato
a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale deve pagare
l’Irpef, le addizionali (regionali e comunali) all’Irpef e
l’Ici.
Per ciò che riguarda l’Irpef e le addizionali, i redditi
degli immobili sono cumulati con gli altri redditi del possessore e tassati
secondo le aliquote previste per tali imposte.
Come ben conosciamo tutti, le aliquote Irpef sono progressive e conseguentemente
uno stesso reddito proveniente da immobili è tassato in misura
più o meno elevata a seconda del reddito complessivo nel quale
è venuto a confluire.
Il reddito dei fabbricati scaturisce dall’applicazione delle rendite
catastali rivalutate del 5 per cento (individuate per ogni comune in relazione
alle caratteristiche degli immobili), dal tipo di utilizzo dell’immobile,
dal periodo e dalla percentuale di possesso.
Per l’Ici (Imposta Comunale sugli Immobili) la rendita catastale,
oltre ad essere rivalutata del 5 per cento, deve essere moltiplicata per
cento per le abitazioni appartenenti ai gruppi catastali A, B e C (con
esclusione delle categorie A10 e C1). Sull’importo così ottenuto
si applica l’aliquota stabilita dai comuni.
Quando si acquista
una abitazione
Quando si procede all’acquisto di una casa,
le imposte da pagare sono diverse (registro o Iva) a seconda che il venditore
sia un privato o un soggetto Iva (come ad esempio il costruttore). In
entrambi i casi sono comunque dovute anche le imposte ipotecarie e catastali.
Se il venditore è un soggetto Iva che opera nel settore dell’edilizia,
chi copra un immobile non di lusso (non aventi cioè le caratteristiche
indicate nel Decreto Ministeriale 2.8.1969) dovrà pagare: imposta
di registro in misura fissa (attualmente 168 euro), imposta ipotecaria
e catastale in misura fissa (per un totale di 336 euro) e l’Iva
al 10 per cento sul corrispettivo pattuito tra le parti.
Quando il venditore, invece, è un privato le imposte da pagare
per l’acquirente sono: Imposta di registro (7 per cento); imposta
ipotecaria (2 per cento) e imposta catastale (1 per cento). In questo
caso la base imponibile per l’applicazione dell’imposta proporzionale
di registro è data dal valore dell’immobile dichiarato nell’atto
di compravendita. Le imposte (registro, ipotecaria e catastale) vengono
versate dal notaio al momento della registrazione. Se l’amministrazione
finanziaria ritiene che il valore dell’immobile trasferito sia superiore
a quello indicato nell’atto, provvede alla rettifica e alla liquidazione
della maggiore imposta dovuta (nonché delle sanzioni e degli interessi)
e notifica al contribuente, entro due anni dal pagamento dell’imposta
proporzionale, un apposito avviso. Va altresì sottolineato però
che se il contribuente ha dichiarato nell’atto di vendita un valore
non inferiore a quello determinato su base catastale, l’ufficio
non può procedere alla rettifica di valore.
Dal 1 agosto 2004 (art. 1-bis, co.7, D.L. 12/7/2004, n.168) il valore
catastale si determina moltiplicando la rendita catastale aggiornata per
i seguenti coefficienti:
• 110 per la prima casa
• 120 per i fabbricati appartenenti ai
gruppi catastali A,B,C (escluse le categorie A/10, C/1) e D
• 60 per i fabbricati della categoria
A/10 (uffici e studi privati);
• 40,8 per i fabbricati delle categorie
C/1 (negozi e botteghe) ed E.
Il legislatore ha altresì previsto numerose interessanti
agevolazioni per acquisto della prima casa.
Immobile tenuto a disposizione:
Per il fabbricato ad uso abitazione posseduto in aggiunta a quello utilizzato
come abitazione principale, il reddito da assoggettare ad Irpef e relative
addizionali viene determinato applicando alla rendita catastale rivalutata
l’aumento di 1/3. L’aumento di 1/3 della rendita non si applica
se la casa a disposizione è stata concessa in uso gratuito a un
familiare (coniuge, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo
grado) che vi trasferisca la residenza.
Immobile affittato
Nel caso in cui l’immobile viene concesso in affitto, nella dichiarazione
dei redditi deve essere indicato il canone di locazione, anche se non
è stato percepito effettivamente. I canoni di locazione non percepiti
(per l’ammontare accertato dal giudice) non devono invece essere
riportati nella dichiarazione dei redditi a partire dal termine del procedimento
di convalida di sfratto per morosità. Nel caso in cui il giudice
confermi la morosità dell’affittuario anche per i periodi
precedenti è riconosciuto un credito d’imposta, pari alle
imposte versate sui canoni scaduti e non percepiti.
L’ immobile concesso in affitto in libero mercato, il reddito da
assoggettare all’Irpef e alle relative addizionali è dato
dal valore più alto tra la rendita catastale rivalutata del 5%
e il canone di locazione (aggiornato con le rivalutazioni Istat) ridotto
del 15%.
Le novità in vigore dal 2005 per gli affitti:
La recente finanziaria ha stabilito che è precluso all’Amministrazione
Finanziaria l’accertamento quando per l’affitto di fabbricati
si dichiara un reddito non inferiore al maggiore tra il canone risultante
dal contratto, ridotto del 15% e il 10% del valore catastale dell’immobile.
Queste nuove norme sulle locazioni, disposte dall'articolo 1, commi 341
e 342, della legge 30 dicembre 2004 n. 311, sono entrate in vigore il
1º gennaio 2005. Di conseguenza, nulla cambia per i contratti in
corso, fino al momento che dovranno essere rinnovati, per cui nella prossima
dichiarazione dei redditi non ci saranno modifiche in merito ai redditi
da locazione percepiti nel 2004.
Sono comunque esclusi dall'applicazione delle nuove norme, i contratti
a uso abitativo, stipulati ai sensi dell'articolo 2, comma 3 e articolo
4, commi 2 e 3 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, con canoni concordati
fra le organizzazioni sindacali degli inquilini e dei proprietari.
Entrando nel merito delle disposizioni, si ricorda che le stesse riguardano
sia l'imposta da applicare al momento della registrazione del contratto,
sia l'imposta sui redditi dei canoni percepiti.
In particolare per il registro, qualora il canone dichiarato, sul quale
verseremo il 2% d'imposta, dovesse risultare inferiore al 10% del valore
catastale (rendita per 1,05 per 120 diviso 10), l'ufficio delle Entrate
è autorizzato a contestare e accertare, sulla base di elementi
di prova, l'esistenza di un corrispettivo maggiore di quello dichiarato,
al quale peraltro, il contribuente potrà opporsi, con ricorso alle
Commissioni tributarie provinciali.
Analogo discorso vale per l'imposta sui redditi, qualora il canone dichiarato,
ridotto del 15%, risultasse inferiore al 10% del valore catastale precisando,
tuttavia, che la differenza dovuta all'importo della predetta riduzione
non potrà mai essere contestata.Si auspica un ripensamento del
Governo sull'ammontare del valore catastale preso a riferimento, per verificare
la congruità del canone.
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