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Ormai,
la diffusione dei lavoratori atipici (a progetto, occasionali, co co co,
ecc.) è talmente ampia e consolidata, da permettere di considerare
questa forma di inserimento occupazionale come uno dei canali usuali di
accesso al mondo del lavoro per le attuali generazioni di giovani. Abbiamo
già parlato in altre occasioni dei rischi e delle mutazioni che
venivano indotte dal lavoro flessibile, e dal diffondersi di queste nuove
tipologie di contratti di lavoro, tutte caratterizzate da una sostanziale
precarietà della prospettiva occupazionale; ma sono ormai disponibili
indagini non soltanto teoriche su questo fenomeno, ma fondate su colloqui
ed interviste che hanno interrogato direttamente questi nuovi lavoratori.
Credo sia particolarmente interessante parlarne tra di noi, anche perché
si tratta di una tipologia occupazionale che le organizzazioni sindacali
faticano notevolmente ad intercettare, nonostante le difficoltà
e l’insoddisfazione, come vedremo, abbastanza diffuse tra questi
lavoratori. Mi sembra quindi interessante, proporre alcune informazioni
desunte dalle indagini che vari istituti di ricerca, come ad esempio il
Censis o l'Eurispes, hanno condotto su questo fenomeno. La distribuzione
generale dei lavoratori atipici pare sia concentrata soprattutto su tre
tipologie contrattuali: i lavoratori a progetto, quelli legati da contratti
occasionali, e quelli con contratto di collaboratore coordinato e continuativo.
Soltanto poco meno del 10% lavora tramite agenzie interinali, e circa
il 5% con un contratto di inserimento. Ma il primo dato che colpisce è
che oltre il 60% degli intervistati, un po' di più se donne, ha
sempre lavorato con contratti atipici. Questo significa che il lavoro
flessibile e precario non rappresenta più una sorta di anticamera,
onerosa ma necessaria, al lavoro continuativo, ma che si sta consolidando
sempre di più come una modalità costante e potenzialmente
“per la vita” di occupazione. L'altro dato che colpisce, ma
che è la conseguenza di questa prima considerazione, è che
si tratta di una modalità lavorativa costante e non più
soltanto riservata ai più giovani: più del 65% di quanti
hanno più di 26 ed anche più di trent'anni, ha infatti sempre
lavorato con contratti atipici. Non soltanto, tra questi non troviamo
persone con scarsa qualificazione professionale, ma troviamo bene più
dell'80% di laureati e più del 50% di laureati con master o specializzazione
post laurea. Questo,
tanto per sgombrare subito il campo da due idee: che il lavoro atipico
e precario sia una sorta di introduzione obbligata, ad un mondo del lavoro
che potrà poi offrire posizioni "normali", e che il lavoro
atipico e precario sia appannaggio soprattutto dei lavoratori meno qualificati
e più giovani. Infatti, più del 30% degli intervistati lavora
con contratti atipici da più di cinque o anche più di 10
anni. Più della metà di questi intervistati, non è
quindi riuscita ad approdare ad una situazione lavorativa stabile nell'arco
di cinque ma anche di dieci anni di impegno lavorativo e molti, moltissimi,
lavorano con lo stesso datore di lavoro da più di cinque - dieci
anni, con un contratto atipico che pare sia, per queste persone, decisamente
e fortemente tipico. Inoltre, questa tipicità dell’atipicità,
è tanto più diffusa quanto maggiore è l'età
del lavoratore, ad ulteriore conferma, se ce ne fosse bisogno, della sostanziale
normalità di questa apparentemente eccezionale collocazione occupazionale.
Più dell'80% dei lavoratori atipici con più di trent'anni,
hanno sempre lavorato con lo stesso datore di lavoro. L'impressione che,
nella sostanza, questi contratti di lavoro atipici e flessibili configurino,
essenzialmente, dei rapporti di lavoro normali semplicemente caratterizzati
da una diversa forma giuridica, è sostenuta anche dal fatto che
più del 60% dei lavoratori atipici, lavora per un unico datore
di lavoro, facendo venire meno l'idea di libertà e maggiore opportunità
di esperienza e di formazione lavorativa, che era tra i vantaggi immaginati
dei lavori flessibili, rispetto all’unicità ed alla chiusura
che veniva imputata ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Pare
proprio che quella maggiore libertà per il lavoratore, che doveva
essere la contropartita della precarietà del suo inserimento, sia
rimasta abbastanza frustrata dalla concretizzazione sociale che queste
nuove forme di inserimento occupazionale hanno poi avuto nella realtà.
A questo si può aggiungere che più del 50% si reca al lavoro
tutti i giorni. Tra i tipi di contratto che presentano la maggiore somiglianza
con l’impegno richiesto ad un lavoratore a tempo determinato, possiamo
indicare i lavoratori a progetto ed i co. co. co. E vediamo ora quanto
guadagnano. Più del 75% di questi lavoratori non supera €
1000 netti mensili, con però circa il 30% che non arriva addirittura
a € 400 netti mensili, un dato particolarmente importante se pensiamo
che la maggior parte di questi lavora per un unico datore di lavoro, e
questa, quindi, è l'unica fonte di reddito di cui dispone. Anche
questo caso le donne sono tendenzialmente meno pagate degli uomini. Tra
i più fortunati, la maggioranza arriva al massimo a € 1400,
e soltanto il 5%, soprattutto uomini, si colloca tra 2000 e 3000 euro.
Va però subito precisato che queste differenze sono soltanto in
minima parte dovute all’anzianità di carriera, ed anche tra
quanti hanno più di cinque anni di esperienza lavorativa, più
di un terzo non supera gli € 800 mensili. È facile immaginare
come più del 90% degli intervistati, sia poco o per nulla soddisfatto
del proprio compenso economico, con l'unica eccezione del lavoratore interinale,
per il quale, forse, il rapporto maggiormente stabile con l'agenzia di
collocamento rende la situazione più accettabile. Con ogni probabilità,
è proprio la sostanziale similitudine tra i lavori atipici e quelli
normali, soprattutto dal punto di vista della quotidianità dell'impegno
lavorativo, ad accentuare la sensazione di insoddisfazione per le differenze
di retribuzione. Tra gli aspetti positivi, soprattutto quello di avere
maggiore tempo libero per sé, e di potere conciliare studio lavoro,
soprattutto per i più giovani. Ma l'aspetto percepito come maggiormente
svantaggioso è, naturalmente, l'incertezza del posto di lavoro,
con il corollario della difficoltà di fare progetti per il futuro.
L'aspetto progettuale è ulteriormente peggiorato dalla mancanza
di adeguate tutele sociali, come la protezione in caso di malattia o di
maternità, lamentata da quasi il 70% degli intervistati, e la mancanza
di adeguate tutele sindacali, soprattutto il diritto di sciopero e le
norme contro il licenziamento. Sotto questo aspetto, uno dei problemi
maggiormente lamentati dagli intervistati è la difficoltà
di accedere al credito, soprattutto per l'acquisto di una casa, e la difficoltà
ad impegnarsi in un progetto di maternità o paternità con
un futuro, appunto, così atipico.
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