di Domenico Secondulfo
Docente di Sociologia Generale e di Sociologia
dei Processi Culturali Università di Verona
   
Questioni di stile
   
 
 
 

Ormai, la diffusione dei lavoratori atipici (a progetto, occasionali, co co co, ecc.) è talmente ampia e consolidata, da permettere di considerare questa forma di inserimento occupazionale come uno dei canali usuali di accesso al mondo del lavoro per le attuali generazioni di giovani. Abbiamo già parlato in altre occasioni dei rischi e delle mutazioni che venivano indotte dal lavoro flessibile, e dal diffondersi di queste nuove tipologie di contratti di lavoro, tutte caratterizzate da una sostanziale precarietà della prospettiva occupazionale; ma sono ormai disponibili indagini non soltanto teoriche su questo fenomeno, ma fondate su colloqui ed interviste che hanno interrogato direttamente questi nuovi lavoratori. Credo sia particolarmente interessante parlarne tra di noi, anche perché si tratta di una tipologia occupazionale che le organizzazioni sindacali faticano notevolmente ad intercettare, nonostante le difficoltà e l’insoddisfazione, come vedremo, abbastanza diffuse tra questi lavoratori. Mi sembra quindi interessante, proporre alcune informazioni desunte dalle indagini che vari istituti di ricerca, come ad esempio il Censis o l'Eurispes, hanno condotto su questo fenomeno. La distribuzione generale dei lavoratori atipici pare sia concentrata soprattutto su tre tipologie contrattuali: i lavoratori a progetto, quelli legati da contratti occasionali, e quelli con contratto di collaboratore coordinato e continuativo. Soltanto poco meno del 10% lavora tramite agenzie interinali, e circa il 5% con un contratto di inserimento. Ma il primo dato che colpisce è che oltre il 60% degli intervistati, un po' di più se donne, ha sempre lavorato con contratti atipici. Questo significa che il lavoro flessibile e precario non rappresenta più una sorta di anticamera, onerosa ma necessaria, al lavoro continuativo, ma che si sta consolidando sempre di più come una modalità costante e potenzialmente “per la vita” di occupazione. L'altro dato che colpisce, ma che è la conseguenza di questa prima considerazione, è che si tratta di una modalità lavorativa costante e non più soltanto riservata ai più giovani: più del 65% di quanti hanno più di 26 ed anche più di trent'anni, ha infatti sempre lavorato con contratti atipici. Non soltanto, tra questi non troviamo persone con scarsa qualificazione professionale, ma troviamo bene più dell'80% di laureati e più del 50% di laureati con master o specializzazione post laurea. Questo, tanto per sgombrare subito il campo da due idee: che il lavoro atipico e precario sia una sorta di introduzione obbligata, ad un mondo del lavoro che potrà poi offrire posizioni "normali", e che il lavoro atipico e precario sia appannaggio soprattutto dei lavoratori meno qualificati e più giovani. Infatti, più del 30% degli intervistati lavora con contratti atipici da più di cinque o anche più di 10 anni. Più della metà di questi intervistati, non è quindi riuscita ad approdare ad una situazione lavorativa stabile nell'arco di cinque ma anche di dieci anni di impegno lavorativo e molti, moltissimi, lavorano con lo stesso datore di lavoro da più di cinque - dieci anni, con un contratto atipico che pare sia, per queste persone, decisamente e fortemente tipico. Inoltre, questa tipicità dell’atipicità, è tanto più diffusa quanto maggiore è l'età del lavoratore, ad ulteriore conferma, se ce ne fosse bisogno, della sostanziale normalità di questa apparentemente eccezionale collocazione occupazionale. Più dell'80% dei lavoratori atipici con più di trent'anni, hanno sempre lavorato con lo stesso datore di lavoro. L'impressione che, nella sostanza, questi contratti di lavoro atipici e flessibili configurino, essenzialmente, dei rapporti di lavoro normali semplicemente caratterizzati da una diversa forma giuridica, è sostenuta anche dal fatto che più del 60% dei lavoratori atipici, lavora per un unico datore di lavoro, facendo venire meno l'idea di libertà e maggiore opportunità di esperienza e di formazione lavorativa, che era tra i vantaggi immaginati dei lavori flessibili, rispetto all’unicità ed alla chiusura che veniva imputata ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Pare proprio che quella maggiore libertà per il lavoratore, che doveva essere la contropartita della precarietà del suo inserimento, sia rimasta abbastanza frustrata dalla concretizzazione sociale che queste nuove forme di inserimento occupazionale hanno poi avuto nella realtà. A questo si può aggiungere che più del 50% si reca al lavoro tutti i giorni. Tra i tipi di contratto che presentano la maggiore somiglianza con l’impegno richiesto ad un lavoratore a tempo determinato, possiamo indicare i lavoratori a progetto ed i co. co. co. E vediamo ora quanto guadagnano. Più del 75% di questi lavoratori non supera € 1000 netti mensili, con però circa il 30% che non arriva addirittura a € 400 netti mensili, un dato particolarmente importante se pensiamo che la maggior parte di questi lavora per un unico datore di lavoro, e questa, quindi, è l'unica fonte di reddito di cui dispone. Anche questo caso le donne sono tendenzialmente meno pagate degli uomini. Tra i più fortunati, la maggioranza arriva al massimo a € 1400, e soltanto il 5%, soprattutto uomini, si colloca tra 2000 e 3000 euro. Va però subito precisato che queste differenze sono soltanto in minima parte dovute all’anzianità di carriera, ed anche tra quanti hanno più di cinque anni di esperienza lavorativa, più di un terzo non supera gli € 800 mensili. È facile immaginare come più del 90% degli intervistati, sia poco o per nulla soddisfatto del proprio compenso economico, con l'unica eccezione del lavoratore interinale, per il quale, forse, il rapporto maggiormente stabile con l'agenzia di collocamento rende la situazione più accettabile. Con ogni probabilità, è proprio la sostanziale similitudine tra i lavori atipici e quelli normali, soprattutto dal punto di vista della quotidianità dell'impegno lavorativo, ad accentuare la sensazione di insoddisfazione per le differenze di retribuzione. Tra gli aspetti positivi, soprattutto quello di avere maggiore tempo libero per sé, e di potere conciliare studio lavoro, soprattutto per i più giovani. Ma l'aspetto percepito come maggiormente svantaggioso è, naturalmente, l'incertezza del posto di lavoro, con il corollario della difficoltà di fare progetti per il futuro. L'aspetto progettuale è ulteriormente peggiorato dalla mancanza di adeguate tutele sociali, come la protezione in caso di malattia o di maternità, lamentata da quasi il 70% degli intervistati, e la mancanza di adeguate tutele sindacali, soprattutto il diritto di sciopero e le norme contro il licenziamento. Sotto questo aspetto, uno dei problemi maggiormente lamentati dagli intervistati è la difficoltà di accedere al credito, soprattutto per l'acquisto di una casa, e la difficoltà ad impegnarsi in un progetto di maternità o paternità con un futuro, appunto, così atipico.