di Lodovico Antonini      
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  Banche: per 6 psicologi su 10
provocano più stress di tasse e suocera

Spese e costi in crescita, ma anche il terrore di essere rapinati o di perdere la tessera del bancomat. Le banche per gli italiani si stanno trasformando in una vera fonte di angoscia e continuo stress, tanto da spingere gli psicologi ad occuparsene. E se andare a fare un deposito rappresenta un vero calvario tra le mille clausole di contratti e moduli (rispettivamente 63% e 55%), ritirare dei soldi e' ancora peggio, tanto da ipotizzare la necessità di assumere massicce dosi di tranquillanti prima di ogni operazione. Ecco il ritratto del cliente tipo delle banche italiane, emerso da uno studio promosso dal mensile BancaFinanza, e realizzato su 50 psicologi e attraverso quattro focus group a cui hanno partecipato 80 titolari di almeno un conto corrente. Pochi i soddisfatti del rapporto con la propria banca. Per un esperto su tre ogni volta che hanno a che fare con le banche si alza il livello di stress, piu' che con le tasse e la suocera I motivi? Per il 27% degli esperti sempre maggiore il rischio di rissa con gli impiegati, ma non solo. Sempre maggiori, secondo gli esperti, le paure che prendono gli Italiani: dal non sapere dove nascondere i contanti (38%), al timore di perdere il bancomat o vederselo risucchiare all'interno della fessura (17%), per arrivare, come sottolinea il 13%, all'incubo di scoprire che sul proprio conto non e' rimasto neanche un soldo.
Ma le paure non sono legate solo alla possibilità di perdere i propri risparmi: sempre più frequenti quelli che esprimono il timore claustrofobico di rimanere bloccati dentro la bussola del metal detector, facendo una figuraccia davanti a tutti (19%). Per chi e' spesso in viaggio, invece, il maggior timore e' quello di perdere il bancomat (17%), sia che finisca in una griglia nel marciapiede (stranamente sempre posizionate sotto gli sportelli), sia che rimanga bloccato dentro lo sportello. Tra gli incubi maggiori c'e' naturalmente quello di scoprire di trovarsi senza un soldo (13%), magari a causa di qualche pirata informatico, o di ritrovarsi nel bel mezzo di una rapina (7%).


 

 
  Grazie alla globalizzazione,
MENO POSTI DI LAVORO E
STIPENDI MOLTO PIÙ BASSI

I rischi connessi alle speculazioni, che nel mondo ruotano intorno agli strumenti derivati, sono ormai non più isolate affermazioni di pochi esperti, ma sono espressi da autorevolissimi giornali internazionali. Il Times, giorni fa, ha titolato significativamente: “Bombe finanziarie ad orologeria e la minaccia di distruzione di massa”, suggestivamente definendo gli strumenti derivati “armi di distruzione di massa”. Governi e banche centrali sino ad oggi hanno finto di non rendersi conto dei rischi gravissimi che le economie nazionali corrono a causa delle speculazioni dell’economia virtuale degli strumenti derivati.
È evidente che i responsabili economico-finanziari dei governi nazionali non possono permettersi di chiudere la porta della stalla, dopo aver consentito ai buoi di scappare, ma debbono intervenire, senza ulteriori indugi, per controllare e disciplinare questo particolare fenomeno finanziario. Ogni ritardo può innescare irreparabilmente le “armi di distruzione di massa”!.

 

 
 

“Permettere a tutte le famiglie con figli portatori di handicap gravi di fruire dei servizi loro necessari”
IL GOVERNO: “PRESTO LA SOLUZIONE DEL PROBLEMA“

Il Ministro per le Pari Opportunità deve procedere all’emanazione di un regolamento o di una circolare interpretativa che permetta a tutte le famiglie con figli portatori di handicap gravi di fruire dei servizi loro necessari, nel pieno rispetto delle leggi e dei diritti loro riconosciuti”.
È questa la richiesta dell’on. Enrico Buemi (SDI), che ha sottolineato come “da tempo le famiglie con figli portatori di handicap certificati con disabilità permanente grave vivono con grande disagio l’applicazione della legge che impone che la determinazione dell’ISEE per usufruire dell’erogazione agevolata dei servizi socioassistenziali venga effettuata sulla base della situazione patrimoniale di tutto il nucleo familiare del richiedente”.
Il problema, come ha rilevato il parlamentare in una interrogazione al ministro Stefania Prestigiacomo, è che, invece, “per le persone con disabilità permanente grave e per gli ultra 65enni non autosufficienti è però espressamente previsto a livello legislativo che l’ISEE sia determinato sulla base della situazione patrimoniale della sola persona disabile che usufruisce del servizio”.
Secondo Buemi, pertanto, “l’emanazione di un apposito regolamento armonizzerebbe le previsioni legislative, in modo da adeguare il dettato normativo alle particolari situazioni in oggetto, legando la determinazione dell’ISEE ai soli dati patrimoniali della persona disabile” e “impedirebbe il comportamento non omogeneo da parte degli enti erogatori dei servizi socio - assistenziali a livello nazionale”.
Il sottosegretario per il Lavoro e le Politiche sociali, Grazia Sestini, ha garantito “la massima attenzione” per l’approvazione definitiva, nei tempi più rapidi possibili, di un decreto del Presidente del Consiglio che risolva la questione.

 

 
 

“Meglio puntare sulle tecnologie che sui bassi salari”
Lo sostiene l’economista Galloni

In un anno, c'è stata una riduzione di circa 6 miliardi di euro della spesa pubblica al netto degli interessi; d'altra parte, il debito da oltre dieci anni, sta risentendo positivamente del calo dei tassi di interesse. Ma il problema delle nostre economie, che solo i pazzi possono pretendere che siano o solo pubbliche o solo private, sta nel fatto di non saper scegliere tra due modelli di capitalismo: quello degli alti salari collegati all'introduzione di tecnologie avanzate e che punta su produzione e profitti, quello dei bassi salari e degli scarsi investimenti e che crede di compensare il calo dei redditi - comprese le pensioni - con i guadagni finanziari. Anche gli USA hanno puntato ultimamente su questo modello, ma i risultati sono stati pessimi. I tagli alle spese pubbliche provocano l'esigenza di continuare a farlo con esiti penosi in termini di qualità della spesa stessa e di efficienza del sistema; per contro non è la stessa cosa che un determinato livello di reddito sia conseguito con lo sviluppo economico reale (investimenti materiali e tecnologici, occupazione produttiva) o con attività puramente finanziarie. In quest’ultimo caso, l’effetto sui consumi non corrisponde a quello sulle attività produttive e si sbilanciano i conti con l'estero; inoltre, l'eccessiva privatizzazione e finanziarizzazione delle pensioni aggrava invece di attenuare gli squilibri sociali, sicché la domanda potenziale aumenta (cioè aumenta il numero delle persone indigenti) e non tutto l'incremento di reddito si conferma nei consumi e negli investimenti produttivi. La competitività dell'Italia è dunque compromessa sia dai tagli alla spesa pubblica che riducono l'efficienza del sistema, sia dall'aver puntato tutto sui bassi salari che rendono meno conveniente per le imprese l'introduzione di nuove tecnologie e la valorizzazione professionale”.

 

 
 

PER I RISPARMIATORI ITALIANI LE COMMISSIONI BANCARIE PIU' CARE D'EUROPA
Il governo: “Bankitalia intensifica i controlli”

Le banche italiane fanno pagare ai loro clienti le commissioni più care fra quelle di un gruppo di nove paesi europei, ma anche di Canada e Stati Uniti: in Olanda le commissioni bancarie annuali costano all’utente 31,00 euro, mentre in Italia, per lo stesso servizio, il costo è di 501,00 euro e negli USA il costo medio annuo è di 175,00 euro; in Gran Bretagna il costo è di 56,00 euro ed in Belgio di 60,00 euro”. Lo dice una ricerca effettuata dalla Cap Gemini e dalla European Financial Management and Marketing Association, che hanno esaminato l’andamento delle commissioni bancarie per nove mesi in nove paesi europei e hanno valutato un pacchetto di servizi sostanzialmente analogo ed omogeneo.
Poiché “la moneta unica europea e il sistema della Banca Centrale Europea avrebbero dovuto prevenire tali profonde diversità di trattamento dei clienti delle banche”, si legge in un’interrogazione parlamentare al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell’Economia e delle Finanze, si chiede di sapere “se siano state accertate dal Governo le ragioni di tali notevolissime e gravi differenze di costi bancari in Europa; se risulti che la Banca d’Italia abbia effettuato rilevazioni e controlli o dato indicazioni o prescrizioni alle banche su questa tematica; se il Governo non ritenga che anche questa situazione danneggi il risparmiatore o, comunque, l’utente del sistema e contribuisca in modo significativo alla già difficile situazione economica del cittadino; se venga esercitato un serio controllo sulle spese del sistema bancario, sugli investimenti dello stesso, sulle partecipazioni e sui grandi finanziamenti che finiscono per gravare sulla generalità dei correntisti e degli utilizzatori minori e senza tutela”.
“La Banca d’Italia - ha replicato il sottosegretario per l’Economia e le Finanze Maria Teresa Armosino - ha effettuato 2.390 verifiche presso gli sportelli di 220 banche. A seguito di tali controlli, che nel complesso hanno posto in luce una crescente attenzione all’osservanza della normativa, sono state avviate 18 procedure sanzionatorie nei confronti di 17 intermediari e sono stati effettuati 177 richiami nei confronti di 145 banche”.
Il Sottosegretario, rifacendosi a una indagine campionaria svolta da Via Nazionale sui costi di chiusura dei conti correnti e sugli eventuali ostacoli alla mobilità della clientela, ha anche reso noto che “il livello medio annuo delle commissioni e delle spese addebitate per la gestione del conto corrente del tipo diffuso è pari a 61 euro, al netto degli oneri fiscali; i servizi aggiuntivi relativi alla custodia e amministrazione di titoli e all’utilizzo di carte di pagamento costano in media, rispettivamente, 36 e 21 euro. Le operazioni di chiusura del conto richiedono 7 giorni circa e comportano spese pari a 37 euro per i servizi di base, ai quali si aggiungono 20 euro in presenza di rapporti di custodia e amministrazione di titoli”.