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Banche:
per 6 psicologi su 10
provocano più stress
di tasse e suocera
Spese
e costi in crescita, ma anche il terrore di essere rapinati o di
perdere la tessera del bancomat. Le banche per gli italiani si stanno
trasformando in una vera fonte di angoscia e continuo stress, tanto
da spingere gli psicologi ad occuparsene. E se andare a fare un
deposito rappresenta un vero calvario tra le mille clausole di contratti
e moduli (rispettivamente 63% e 55%), ritirare dei soldi e' ancora
peggio, tanto da ipotizzare la necessità di assumere massicce
dosi di tranquillanti prima di ogni operazione. Ecco il ritratto
del cliente tipo delle banche italiane, emerso da uno studio promosso
dal mensile BancaFinanza, e realizzato su 50 psicologi e attraverso
quattro focus group a cui hanno partecipato 80 titolari di almeno
un conto corrente. Pochi i soddisfatti del rapporto con la propria
banca. Per un esperto su tre ogni volta che hanno a che fare con
le banche si alza il livello di stress, piu' che con le tasse e
la suocera I motivi? Per il 27% degli esperti sempre maggiore il
rischio di rissa con gli impiegati, ma non solo. Sempre maggiori,
secondo gli esperti, le paure che prendono gli Italiani: dal non
sapere dove nascondere i contanti (38%), al timore di perdere il
bancomat o vederselo risucchiare all'interno della fessura (17%),
per arrivare, come sottolinea il 13%, all'incubo di scoprire che
sul proprio conto non e' rimasto neanche un soldo.
Ma le paure non sono legate solo alla possibilità di perdere
i propri risparmi: sempre più frequenti quelli che esprimono
il timore claustrofobico di rimanere bloccati dentro la bussola
del metal detector, facendo una figuraccia davanti a tutti (19%).
Per chi e' spesso in viaggio, invece, il maggior timore e' quello
di perdere il bancomat (17%), sia che finisca in una griglia nel
marciapiede (stranamente sempre posizionate sotto gli sportelli),
sia che rimanga bloccato dentro lo sportello. Tra gli incubi maggiori
c'e' naturalmente quello di scoprire di trovarsi senza un soldo
(13%), magari a causa di qualche pirata informatico, o di ritrovarsi
nel bel mezzo di una rapina (7%).
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Grazie alla
globalizzazione,
MENO
POSTI DI LAVORO E
STIPENDI MOLTO PIÙ BASSI
I
rischi connessi alle speculazioni, che nel mondo ruotano intorno
agli strumenti derivati, sono ormai non più isolate affermazioni
di pochi esperti, ma sono espressi da autorevolissimi giornali internazionali.
Il Times, giorni fa, ha titolato significativamente: “Bombe
finanziarie ad orologeria e la minaccia di distruzione di massa”,
suggestivamente definendo gli strumenti derivati “armi di
distruzione di massa”. Governi e banche centrali sino ad oggi
hanno finto di non rendersi conto dei rischi gravissimi che le economie
nazionali corrono a causa delle speculazioni dell’economia
virtuale degli strumenti derivati.
È evidente che i responsabili economico-finanziari dei governi
nazionali non possono permettersi di chiudere la porta della stalla,
dopo aver consentito ai buoi di scappare, ma debbono intervenire,
senza ulteriori indugi, per controllare e disciplinare questo particolare
fenomeno finanziario. Ogni ritardo può innescare irreparabilmente
le “armi di distruzione di massa”!. |
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“Permettere
a tutte le famiglie con figli portatori di handicap gravi di fruire
dei servizi loro necessari”
IL GOVERNO: “PRESTO
LA SOLUZIONE DEL PROBLEMA“
“Il
Ministro per le Pari Opportunità deve procedere all’emanazione
di un regolamento o di una circolare interpretativa che permetta
a tutte le famiglie con figli portatori di handicap gravi di fruire
dei servizi loro necessari, nel pieno rispetto delle leggi e dei
diritti loro riconosciuti”.
È questa la richiesta dell’on. Enrico Buemi (SDI),
che ha sottolineato come “da tempo le famiglie con figli
portatori di handicap certificati con disabilità permanente
grave vivono con grande disagio l’applicazione della legge
che impone che la determinazione dell’ISEE per usufruire
dell’erogazione agevolata dei servizi socioassistenziali
venga effettuata sulla base della situazione patrimoniale di tutto
il nucleo familiare del richiedente”.
Il problema, come ha rilevato il parlamentare in una interrogazione
al ministro Stefania Prestigiacomo, è che, invece, “per
le persone con disabilità permanente grave e per gli ultra
65enni non autosufficienti è però espressamente
previsto a livello legislativo che l’ISEE sia determinato
sulla base della situazione patrimoniale della sola persona disabile
che usufruisce del servizio”.
Secondo Buemi, pertanto, “l’emanazione di un apposito
regolamento armonizzerebbe le previsioni legislative, in modo
da adeguare il dettato normativo alle particolari situazioni in
oggetto, legando la determinazione dell’ISEE ai soli dati
patrimoniali della persona disabile” e “impedirebbe
il comportamento non omogeneo da parte degli enti erogatori dei
servizi socio - assistenziali a livello nazionale”.
Il sottosegretario per il Lavoro e le Politiche sociali, Grazia
Sestini, ha garantito “la massima attenzione” per
l’approvazione definitiva, nei tempi più rapidi possibili,
di un decreto del Presidente del Consiglio che risolva la questione.
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“Meglio
puntare sulle tecnologie che sui bassi salari”
Lo sostiene l’economista Galloni
“In
un anno, c'è stata una riduzione di circa 6 miliardi di euro
della spesa pubblica al netto degli interessi; d'altra parte, il
debito da oltre dieci anni, sta risentendo positivamente del calo
dei tassi di interesse. Ma il problema delle nostre economie, che
solo i pazzi possono pretendere che siano o solo pubbliche o solo
private, sta nel fatto di non saper scegliere tra due modelli di
capitalismo: quello degli alti salari collegati all'introduzione
di tecnologie avanzate e che punta su produzione e profitti, quello
dei bassi salari e degli scarsi investimenti e che crede di compensare
il calo dei redditi - comprese le pensioni - con i guadagni finanziari.
Anche gli USA hanno puntato ultimamente su questo modello, ma i
risultati sono stati pessimi. I tagli alle spese pubbliche provocano
l'esigenza di continuare a farlo con esiti penosi in termini di
qualità della spesa stessa e di efficienza del sistema; per
contro non è la stessa cosa che un determinato livello di
reddito sia conseguito con lo sviluppo economico reale (investimenti
materiali e tecnologici, occupazione produttiva) o con attività
puramente finanziarie. In quest’ultimo caso, l’effetto
sui consumi non corrisponde a quello sulle attività produttive
e si sbilanciano i conti con l'estero; inoltre, l'eccessiva privatizzazione
e finanziarizzazione delle pensioni aggrava invece di attenuare
gli squilibri sociali, sicché la domanda potenziale aumenta
(cioè aumenta il numero delle persone indigenti) e non tutto
l'incremento di reddito si conferma nei consumi e negli investimenti
produttivi. La competitività dell'Italia è dunque
compromessa sia dai tagli alla spesa pubblica che riducono l'efficienza
del sistema, sia dall'aver puntato tutto sui bassi salari che rendono
meno conveniente per le imprese l'introduzione di nuove tecnologie
e la valorizzazione professionale”.
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PER I RISPARMIATORI
ITALIANI LE COMMISSIONI BANCARIE PIU' CARE D'EUROPA
Il governo: “Bankitalia
intensifica i controlli”
“Le
banche italiane fanno pagare ai loro clienti le commissioni più
care fra quelle di un gruppo di nove paesi europei, ma anche di
Canada e Stati Uniti: in Olanda le commissioni bancarie annuali
costano all’utente 31,00 euro, mentre in Italia, per lo
stesso servizio, il costo è di 501,00 euro e negli USA
il costo medio annuo è di 175,00 euro; in Gran Bretagna
il costo è di 56,00 euro ed in Belgio di 60,00 euro”.
Lo dice una ricerca effettuata dalla Cap Gemini e dalla European
Financial Management and Marketing Association, che hanno esaminato
l’andamento delle commissioni bancarie per nove mesi in
nove paesi europei e hanno valutato un pacchetto di servizi sostanzialmente
analogo ed omogeneo.
Poiché “la moneta unica europea e il sistema della
Banca Centrale Europea avrebbero dovuto prevenire tali profonde
diversità di trattamento dei clienti delle banche”,
si legge in un’interrogazione parlamentare al Presidente
del Consiglio dei ministri e al Ministro dell’Economia e
delle Finanze, si chiede di sapere “se siano state accertate
dal Governo le ragioni di tali notevolissime e gravi differenze
di costi bancari in Europa; se risulti che la Banca d’Italia
abbia effettuato rilevazioni e controlli o dato indicazioni o
prescrizioni alle banche su questa tematica; se il Governo non
ritenga che anche questa situazione danneggi il risparmiatore
o, comunque, l’utente del sistema e contribuisca in modo
significativo alla già difficile situazione economica del
cittadino; se venga esercitato un serio controllo sulle spese
del sistema bancario, sugli investimenti dello stesso, sulle partecipazioni
e sui grandi finanziamenti che finiscono per gravare sulla generalità
dei correntisti e degli utilizzatori minori e senza tutela”.
“La Banca d’Italia - ha replicato il sottosegretario
per l’Economia e le Finanze Maria Teresa Armosino - ha effettuato
2.390 verifiche presso gli sportelli di 220 banche. A seguito
di tali controlli, che nel complesso hanno posto in luce una crescente
attenzione all’osservanza della normativa, sono state avviate
18 procedure sanzionatorie nei confronti di 17 intermediari e
sono stati effettuati 177 richiami nei confronti di 145 banche”.
Il Sottosegretario, rifacendosi a una indagine campionaria svolta
da Via Nazionale sui costi di chiusura dei conti correnti e sugli
eventuali ostacoli alla mobilità della clientela, ha anche
reso noto che “il livello medio annuo delle commissioni
e delle spese addebitate per la gestione del conto corrente del
tipo diffuso è pari a 61 euro, al netto degli oneri fiscali;
i servizi aggiuntivi relativi alla custodia e amministrazione
di titoli e all’utilizzo di carte di pagamento costano in
media, rispettivamente, 36 e 21 euro. Le operazioni di chiusura
del conto richiedono 7 giorni circa e comportano spese pari a
37 euro per i servizi di base, ai quali si aggiungono 20 euro
in presenza di rapporti di custodia e amministrazione di titoli”.
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