L'aumento
delle imposte sulle compravendite rende sempre più pesante l’impegno
economico necessario per acquistare un immobile.
Cerchiamo di capire un po’ meglio cosa è variato e quanto
questa nuova modifica legislativa andrà ad incidere sulle imposte
sui trasferimenti degli immobili. Esiste un sistema di valutazione catastale
dei beni immobili che serve a stabilire un valore dell’immobile
che il Fisco non può contestare. Per calcolarlo si prende in considerazione
la rendita catastale attribuita a un bene immobile e la si rivaluta con
le aliquote del 5% per la rendita catastale dei fabbricati e del 25% per
i redditi domenicali dei terreni. Poi si moltiplicava il prodotto così
ottenuto per questi coefficienti (D.M. 14 dicembre 1991):
• 75 per
aree non fabbricabili
• 34 per i fabbricati C/1 (negozi) ed E
• 50 per i fabbricati A/10 (uffici) e D (opifici)
• 100 per tutti gli altri fabbricati e quindi in particolare per
le abitazioni.
Ciò che è nuovamente variato è il valore minimo dell’immobile
che bisogna dichiarare nel rogito o negli atti per non subire accertamenti
fiscali. In definitiva, dal 1 agosto dell’anno scorso la rendita
catastale rivalutata di una abitazione che in precedenza andava moltiplicata
per 100 per avere il valore minimo da dichiarare negli atti per non subire
accertamenti, va moltiplicata per due diversi numeri. E cioè 110,
se si tratta di immobili di categoria A acquistati come abitazione principale
e 120 se si tratta di un altro tipo di immobile (casa di villeggiatura,
etc). Identico aumento del 20% rispetto al 2003 si ha per uffici, laboratori,
negozi, capannoni e terreni. Va sottolineato come questo aumento vale
solo ai sensi delle imposte di registro, ipotecarie e catastali e quindi
solo negli atti di compravendita.
Per le cessioni soggette ad iva la base imponibile invece è costituita
dal corrispettivo stabilito tra le parti. Anche in questo caso, se il
contribuente ha dichiarato un corrispettivo non inferiore a quello determinato
in base ai parametri catastali, l’Amministrazione Finanziaria non
può procedere alla rettifica iva salvo che da altri atti e documenti
non risulti un corrispettivo superiore.
Dopo la parte teorica vediamo alcuni esempi pratici:
Atti a cui si applica l’imposta di registro (compravendita tra privati)
e aventi per oggetto la prima casa: la valutazione automatica si calcola
applicando alle rendite catastali il moltiplicatore del 5%; si moltiplica
il risultato così ottenuto per il coefficiente (in questo caso
pari a 100) rivalutandoli del 10 per cento (100x10%=110). Prendendo a
riferimento una rendita catastale di 1.000 euro riferita ad una abitazione,
la rendita va aggiornata del 5% e il risultato va poi moltiplicato per
110 ottenendo il risultato di euro 115.500 (valore minimo da dichiarare
nell’atto di compravendita).
Atti cui si applica l’imposta di registro avente ad oggetto abitazioni
diverse dalla “prima casa”: in questo caso la valutazione
è per la prima parte uguale al caso precedente con la differenza
che il coefficiente sarà rivalutato del 20% (valore 120). Quindi,
prendendo ancora a riferimento la rendita catastale di mille euro riferita
a un’abitazione, la valutazione sarà pari a 126.000 (1.000
x 5% =1.050 x 120 = euro 126.000).
Atti per cui si applica l’Iva: in questo caso non ci sono variazioni
rispetto allo schema originale. Quindi sempre con riferimento ad una rendita
catastale di 1.000 riferita ad una abitazione, questa rendita va aggiornata
per prima cosa del 5% (arrivando a 1.050). A questo punto va applicato
il moltiplicatore 100 ottenendo il risultato di euro 105.000. La rendita
va quindi moltiplicata semplicemente per 105. Questo valore è anche
quello da prendere a riferimento per il calcolo dell’Ici.
Dal 1 agosto 2004 i nuovi coefficienti risultano quindi essere:
• 90 per aree non fabbricabili
• 40,8 per i fabbricati C/1 (negozi) ed E
• 60 per i fabbricati A/10 (uffici) e D (opifici)
• 110 per l’abitazione principale e 120 per tutti gli altri
fabbricati(ad esclusione delle categorie A10, C1 e abitazione principale).
I
valori che si ottengono, attraverso questi coefficienti di moltiplicazione
recentemente variati dalla legge 191/2004, sono pari, in media, a circa
un terzo del valore di mercato, a cui avvengono effettivamente le compravendite.
L’impossibilità, per l’Amministrazione, di rettifica
i valori superiori a questo “minimo consentito” rende più
unici che rari i casi in cui viene colto in flagrante e punito chi sottostima
l’immobile (perché comunque è sanzionato chi occulta
una parte del prezzo pur se sia dichiarato un valore superiore a quello
catastale). Solo in caso di liti tra venditore ed acquirente oppure tra
questi e il mediatore può capitare che riemerga il prezzo reale
della compravendita. E così quasi tutti i cittadini finiscono per
dichiarare, se non proprio il valore catastale, al massimo un 10 per cento
in più.
Attenzione però: anche la Corte di Cassazione è intervenuta
con due sentenze “opposte” su questo argomento. La prima (n.6542del
24.4.2003) ha sostenuto che la base imponibile è costituita dal
valore minimo determinato in base art.52, co.4 D.P.R. 131/1986, “prescindendo
del tutto dal corrispettivo pagato” quindi sposando la tesi della
tassazione ai fini dell’imposta di registro del valore dichiarato
dalle parti nell’atto. Successivamente la Cassazione ha mutato,
in parte, il proprio orientamento e con sentenza n.18150 del 4.5.2004
ha rilevato che non è possibile distinguere nell’atto di
compravendita il corrispettivo reale della cessione dal minore importo
indicato nell’atto e considerato ai fini dell’applicazione
dell’imposta di registro. D’altronde – continua la Corte
- non esiste nessuna norma nel nostro ordinamento che consente ai contraenti
di dichiarare un valore del bene oggetto del contratto, da valere ai soli
fini fiscali (e che pone un limite al potere dell’ufficio di rettificare
i valori) e il valore reale pattuito per la compravendita.
Tale impostazione favorisce il comportamento elusivo di molti contribuenti
teso a dichiarare un valore inferiore a quello effettivo nell’atto
di compravendita con i rischi comunque connessi all’occultamento
di una parte del corrispettivo ma anche alle possibili conseguenze in
caso di liti successive con il prezzo dichiarato nell’atto che assume
esso ordinariamente e per sua natura il valore venale del bene. Insomma
in caso di liti successive il corrispettivo dichiarato nell’atto
viene anche assunto come prezzo realmente pagato per la compravendita.
Alcuni dubbi ci restano però!! Ma non dovevamo attenderci una notevole
semplificazione fiscale in questi anni? In realtà con l’agosto
2004 sono stati varati per ogni edificio tre diversi valori catastali
possibili anziché uno solo: il primo ai fini Ici ed Iva, il secondo
ai fini del registro sulle prime case e il terzo ai fini del registro
sugli altri fabbricati e terreni. E per di più i corrispettivi
dichiarati negli atti di compravendita continuano ad essere volontariamente
più bassi rispetto al reale prezzo pagato. Una misuri purtroppo
contraria ad ogni semplificazione fiscale.
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