di Leonardo Comucci Consulente CAAF Fabi Nazionale      
Fisco no problem con il caaf-fabi
Sempre più pesante la tassazione
sulle compravendite.
     

L'aumento delle imposte sulle compravendite rende sempre più pesante l’impegno economico necessario per acquistare un immobile.
Cerchiamo di capire un po’ meglio cosa è variato e quanto questa nuova modifica legislativa andrà ad incidere sulle imposte sui trasferimenti degli immobili. Esiste un sistema di valutazione catastale dei beni immobili che serve a stabilire un valore dell’immobile che il Fisco non può contestare. Per calcolarlo si prende in considerazione la rendita catastale attribuita a un bene immobile e la si rivaluta con le aliquote del 5% per la rendita catastale dei fabbricati e del 25% per i redditi domenicali dei terreni. Poi si moltiplicava il prodotto così ottenuto per questi coefficienti (D.M. 14 dicembre 1991):
• 75 per aree non fabbricabili
• 34 per i fabbricati C/1 (negozi) ed E
• 50 per i fabbricati A/10 (uffici) e D (opifici)
• 100 per tutti gli altri fabbricati e quindi in particolare per le abitazioni.
Ciò che è nuovamente variato è il valore minimo dell’immobile che bisogna dichiarare nel rogito o negli atti per non subire accertamenti fiscali. In definitiva, dal 1 agosto dell’anno scorso la rendita catastale rivalutata di una abitazione che in precedenza andava moltiplicata per 100 per avere il valore minimo da dichiarare negli atti per non subire accertamenti, va moltiplicata per due diversi numeri. E cioè 110, se si tratta di immobili di categoria A acquistati come abitazione principale e 120 se si tratta di un altro tipo di immobile (casa di villeggiatura, etc). Identico aumento del 20% rispetto al 2003 si ha per uffici, laboratori, negozi, capannoni e terreni. Va sottolineato come questo aumento vale solo ai sensi delle imposte di registro, ipotecarie e catastali e quindi solo negli atti di compravendita.
Per le cessioni soggette ad iva la base imponibile invece è costituita dal corrispettivo stabilito tra le parti. Anche in questo caso, se il contribuente ha dichiarato un corrispettivo non inferiore a quello determinato in base ai parametri catastali, l’Amministrazione Finanziaria non può procedere alla rettifica iva salvo che da altri atti e documenti non risulti un corrispettivo superiore.
Dopo la parte teorica vediamo alcuni esempi pratici:
Atti a cui si applica l’imposta di registro (compravendita tra privati) e aventi per oggetto la prima casa: la valutazione automatica si calcola applicando alle rendite catastali il moltiplicatore del 5%; si moltiplica il risultato così ottenuto per il coefficiente (in questo caso pari a 100) rivalutandoli del 10 per cento (100x10%=110). Prendendo a riferimento una rendita catastale di 1.000 euro riferita ad una abitazione, la rendita va aggiornata del 5% e il risultato va poi moltiplicato per 110 ottenendo il risultato di euro 115.500 (valore minimo da dichiarare nell’atto di compravendita).
Atti cui si applica l’imposta di registro avente ad oggetto abitazioni diverse dalla “prima casa”: in questo caso la valutazione è per la prima parte uguale al caso precedente con la differenza che il coefficiente sarà rivalutato del 20% (valore 120). Quindi, prendendo ancora a riferimento la rendita catastale di mille euro riferita a un’abitazione, la valutazione sarà pari a 126.000 (1.000 x 5% =1.050 x 120 = euro 126.000).
Atti per cui si applica l’Iva: in questo caso non ci sono variazioni rispetto allo schema originale. Quindi sempre con riferimento ad una rendita catastale di 1.000 riferita ad una abitazione, questa rendita va aggiornata per prima cosa del 5% (arrivando a 1.050). A questo punto va applicato il moltiplicatore 100 ottenendo il risultato di euro 105.000. La rendita va quindi moltiplicata semplicemente per 105. Questo valore è anche quello da prendere a riferimento per il calcolo dell’Ici.
Dal 1 agosto 2004 i nuovi coefficienti risultano quindi essere:
• 90 per aree non fabbricabili
• 40,8 per i fabbricati C/1 (negozi) ed E
• 60 per i fabbricati A/10 (uffici) e D (opifici)
• 110 per l’abitazione principale e 120 per tutti gli altri fabbricati(ad esclusione delle categorie A10, C1 e abitazione principale).

I valori che si ottengono, attraverso questi coefficienti di moltiplicazione recentemente variati dalla legge 191/2004, sono pari, in media, a circa un terzo del valore di mercato, a cui avvengono effettivamente le compravendite. L’impossibilità, per l’Amministrazione, di rettifica i valori superiori a questo “minimo consentito” rende più unici che rari i casi in cui viene colto in flagrante e punito chi sottostima l’immobile (perché comunque è sanzionato chi occulta una parte del prezzo pur se sia dichiarato un valore superiore a quello catastale). Solo in caso di liti tra venditore ed acquirente oppure tra questi e il mediatore può capitare che riemerga il prezzo reale della compravendita. E così quasi tutti i cittadini finiscono per dichiarare, se non proprio il valore catastale, al massimo un 10 per cento in più.
Attenzione però: anche la Corte di Cassazione è intervenuta con due sentenze “opposte” su questo argomento. La prima (n.6542del 24.4.2003) ha sostenuto che la base imponibile è costituita dal valore minimo determinato in base art.52, co.4 D.P.R. 131/1986, “prescindendo del tutto dal corrispettivo pagato” quindi sposando la tesi della tassazione ai fini dell’imposta di registro del valore dichiarato dalle parti nell’atto. Successivamente la Cassazione ha mutato, in parte, il proprio orientamento e con sentenza n.18150 del 4.5.2004 ha rilevato che non è possibile distinguere nell’atto di compravendita il corrispettivo reale della cessione dal minore importo indicato nell’atto e considerato ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro. D’altronde – continua la Corte - non esiste nessuna norma nel nostro ordinamento che consente ai contraenti di dichiarare un valore del bene oggetto del contratto, da valere ai soli fini fiscali (e che pone un limite al potere dell’ufficio di rettificare i valori) e il valore reale pattuito per la compravendita.
Tale impostazione favorisce il comportamento elusivo di molti contribuenti teso a dichiarare un valore inferiore a quello effettivo nell’atto di compravendita con i rischi comunque connessi all’occultamento di una parte del corrispettivo ma anche alle possibili conseguenze in caso di liti successive con il prezzo dichiarato nell’atto che assume esso ordinariamente e per sua natura il valore venale del bene. Insomma in caso di liti successive il corrispettivo dichiarato nell’atto viene anche assunto come prezzo realmente pagato per la compravendita.
Alcuni dubbi ci restano però!! Ma non dovevamo attenderci una notevole semplificazione fiscale in questi anni? In realtà con l’agosto 2004 sono stati varati per ogni edificio tre diversi valori catastali possibili anziché uno solo: il primo ai fini Ici ed Iva, il secondo ai fini del registro sulle prime case e il terzo ai fini del registro sugli altri fabbricati e terreni. E per di più i corrispettivi dichiarati negli atti di compravendita continuano ad essere volontariamente più bassi rispetto al reale prezzo pagato. Una misuri purtroppo contraria ad ogni semplificazione fiscale.