di Domenico Secondulfo
Docente di Sociologia Generale e di Sociologia
dei Processi Culturali Università di Verona
   
Questioni di stile
   
   
   
 
 

Nella nostra precedente conversazione avevamo iniziato a parlare del destino del consumatore nella ormai palese situazione recessiva che attraversa l’Europa e, con essa, anche il nostro paese. Può essere interessante vedere, al di là di scenari più ampi, come il povero consumatore cerca di “sbarcare il lunario“ nel tentativo di far quadrare il difficile compito tra abitudini a stili di vita sicuramente più generosi, e dolorose contrazioni della propria capacità di spesa. Cominciano ad affiorare alcune indagini in questo senso, anche se le più recenti sono di almeno un anno e mezzo fa, ed infatti credo che anch’io ne varerò una nei prossimi mesi.
Parliamo quindi di comportamenti che si sono sviluppati tra il 2000 e il 2004.
Naturalmente la contrazione dei consumi tocca in primis le spese più comprimibili, il tempo libero, l’istruzione, la cultura, i trasporti e così lo stile di vita dei consumatori italiani, che poi saremmo noi, si allontana pian piano da un profilo di tipo terziario e post industriale per avvicinarsi ad un profilo maggiormente arretrato, che vede i consumi possibili sempre più contenuti all’interno dei consumi alimentari, che da poco più del 20% del paniere complessivo, veleggiano ormai verso il 25%. Se differenziamo questa forzata parsimonia tra i vari ceti sociali, vediamo che, naturalmente, minore era la capacità di spesa precedente, maggiore viene ad essere il senso di disagio prodotto dall’ulteriore restrizione del reddito.
Nei ceti più fortunati, sono le spese per il tempo libero e trasporti che diminuiscono, nonché le spese per l’istruzione, mentre vengono mantenute e difese le spese per le comunicazioni, come ad esempio i cellulari o i collegamenti veloci con la rete telematica.
Se ci spostiamo in basso di un gradino, vediamo che anche le spese per la comunicazione cominciano contrarsi, e sono invece le spese legate al benessere personale e alla presentazione in pubblico della persona ad essere difese, e ci riferiamo essenzialmente alle spese per l’abbigliamento.
Se ci abbassiamo di un altro gradino, ed arriviamo a livello operaio, troviamo lo stacco più forte a livello di stili di vita, con una contrazione generale in tutte le aree precedentemente elencate, che però si estende anche alle spese legate non soltanto alla persona ma anche alla salute, con uno stile di acquisto che, ormai, si riduce fortemente alla spesa alimentare e alle spese correnti indispensabili. Naturalmente, gruppi maggiormente svantaggiati come pensionati o famiglie monoreddito o, ancora di più, famiglie monoreddito con figli, se la passano proporzionalmente peggio. Cambiano, com’era logico attendersi, non soltanto le tipologie dei beni acquistati, ma anche i luoghi in cui si acquistano. Dalle indagini svolte, pare che i primi ad essere penalizzati siano i negozi di piccola distribuzione decentrati e diffusi nelle città, i cosiddetti “ negozi sotto casa “. Nel tentativo di sbarcare il lunario di consumatore si rivolge soprattutto alla grande distribuzione ed abbandona la piccola distribuzione, rinunciando ai servizi ed al rapporto personale che questi assicuravano in cambio della maggiore convenienza economica. Sono soprattutto gli ipermercati e gli hard discount ad essere interessati, con uno spostamento che ha interessato soprattutto il comparto dei prodotti alimentari che, come abbiamo visto, sono quelli il cui livello di consumo è difeso con maggiore determinazione dai consumatori.
Una seconda strategia, di cui abbiamo già parlato tempo fa, è quella relativa al credito ed in particolare al credito al consumo. Pare che le famiglie italiane si stiano vertiginosamente indebitando per difendere il loro stile di vita e di consumo, con un indebitamento che, purtroppo, è più simile ad una lotta di retrovia che non ad un balzo verso il futuro. Un indebitamento che, molto probabilmente, in un prossimo futuro, se non verranno prodotti redditi sufficienti, potrebbe provocare un effetto scalino molto poco gradevole, nel momento in cui la perdurante scarsità di potere di acquisto si andasse a sommare con la maturazione dei debiti accumulati e con l’impossibilità o la grande difficoltà di una loro remissione, per non parlare di un eventuale sistema creditizio che si trovasse di colpo di fronte ad una moltitudine di debitori insolventi, a fronte di crediti concessi non per beni durevoli e di valore su cui potersi rivalere, ma per beni volatili e di scarso valore. Indagini del settore, sottolineano che sono già tanti i segnali di una difficoltà per le famiglie di continuare a versare rate del proprio reddito a copertura di crediti ottenuti in passato. La situazione è talmente grave che lavoratori e consumatori hanno perfino trovato alleati nelle associazioni degli industriali e dei commercianti, che, sperando in una ripresa degli acquisti, hanno perfino fatto pressioni perché venissero chiusi i contratti collettivi rimasti aperti.
Questo sì che è un segno di crisi!