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Nella
nostra precedente conversazione avevamo iniziato a parlare del destino
del consumatore nella ormai palese situazione recessiva che attraversa
l’Europa e, con essa, anche il nostro paese. Può essere interessante
vedere, al di là di scenari più ampi, come il povero consumatore
cerca di “sbarcare il lunario“ nel tentativo di far quadrare
il difficile compito tra abitudini a stili di vita sicuramente più
generosi, e dolorose contrazioni della propria capacità di spesa.
Cominciano ad affiorare alcune indagini in questo senso, anche se le più
recenti sono di almeno un anno e mezzo fa, ed infatti credo che anch’io
ne varerò una nei prossimi mesi.
Parliamo quindi di comportamenti che si sono sviluppati tra il 2000 e
il 2004.
Naturalmente la contrazione dei consumi tocca in primis le spese più
comprimibili, il tempo libero, l’istruzione, la cultura, i trasporti
e così lo stile di vita dei consumatori italiani, che poi saremmo
noi, si allontana pian piano da un profilo di tipo terziario e post industriale
per avvicinarsi ad un profilo maggiormente arretrato, che vede i consumi
possibili sempre più contenuti all’interno dei consumi alimentari,
che da poco più del 20% del paniere complessivo, veleggiano ormai
verso il 25%. Se differenziamo questa forzata parsimonia tra i vari ceti
sociali, vediamo che, naturalmente, minore era la capacità di spesa
precedente, maggiore viene ad essere il senso di disagio prodotto dall’ulteriore
restrizione del reddito.
Nei ceti più fortunati, sono le spese per il tempo libero e trasporti
che diminuiscono, nonché le spese per l’istruzione, mentre
vengono mantenute e difese le spese per le comunicazioni, come ad esempio
i cellulari o i collegamenti veloci con la rete telematica.
Se ci spostiamo in basso di un gradino, vediamo che anche le spese per
la comunicazione cominciano contrarsi, e sono invece le spese legate al
benessere personale e alla presentazione in pubblico della persona ad
essere difese, e ci riferiamo essenzialmente alle spese per l’abbigliamento.
Se ci abbassiamo di un altro gradino, ed arriviamo a livello operaio,
troviamo lo stacco più forte a livello di stili di vita, con una
contrazione generale in tutte le aree precedentemente elencate, che però
si estende anche alle spese legate non soltanto alla persona ma anche
alla salute, con uno stile di acquisto che, ormai, si riduce fortemente
alla spesa alimentare e alle spese correnti indispensabili. Naturalmente,
gruppi maggiormente svantaggiati come pensionati o famiglie monoreddito
o, ancora di più, famiglie monoreddito con figli, se la passano
proporzionalmente peggio. Cambiano, com’era logico attendersi, non
soltanto le tipologie dei beni acquistati, ma anche i luoghi in cui si
acquistano. Dalle indagini svolte, pare che i primi ad essere penalizzati
siano i negozi di piccola distribuzione decentrati e diffusi nelle città,
i cosiddetti “ negozi sotto casa “. Nel tentativo di sbarcare
il lunario di consumatore si rivolge soprattutto alla grande distribuzione
ed abbandona la piccola distribuzione, rinunciando ai servizi ed al rapporto
personale che questi assicuravano in cambio della maggiore convenienza
economica. Sono soprattutto gli ipermercati e gli hard discount ad essere
interessati, con uno spostamento che ha interessato soprattutto il comparto
dei prodotti alimentari che, come abbiamo visto, sono quelli il cui livello
di consumo è difeso con maggiore determinazione dai consumatori.
Una seconda strategia, di cui abbiamo già parlato tempo fa, è
quella relativa al credito ed in particolare al credito al consumo. Pare
che le famiglie italiane si stiano vertiginosamente indebitando per difendere
il loro stile di vita e di consumo, con un indebitamento che, purtroppo,
è più simile ad una lotta di retrovia che non ad un balzo
verso il futuro. Un indebitamento che, molto probabilmente, in un prossimo
futuro, se non verranno prodotti redditi sufficienti, potrebbe provocare
un effetto scalino molto poco gradevole, nel momento in cui la perdurante
scarsità di potere di acquisto si andasse a sommare con la maturazione
dei debiti accumulati e con l’impossibilità o la grande difficoltà
di una loro remissione, per non parlare di un eventuale sistema creditizio
che si trovasse di colpo di fronte ad una moltitudine di debitori insolventi,
a fronte di crediti concessi non per beni durevoli e di valore su cui
potersi rivalere, ma per beni volatili e di scarso valore. Indagini del
settore, sottolineano che sono già tanti i segnali di una difficoltà
per le famiglie di continuare a versare rate del proprio reddito a copertura
di crediti ottenuti in passato. La situazione è talmente grave
che lavoratori e consumatori hanno perfino trovato alleati nelle associazioni
degli industriali e dei commercianti, che, sperando in una ripresa degli
acquisti, hanno perfino fatto pressioni perché venissero chiusi
i contratti collettivi rimasti aperti.
Questo sì che è un segno di crisi!
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