di Sofia Cecconi Consulente Legale Fabi  
 
Risposte ai quesiti
 
Novità giurisprudenziali
OBBLIGO DI REPERIBILITÀ DEL LAVORATORE
IN CASO DI MALATTIA

Vorrei sapere quali sono gli obblighi di reperibilità del lavoratore in caso di malattia. In particolare segnalo che vivo da solo e che mi può capitare, fra l’altro, di dover far fronte a necessità improvvise di acquisto di medicinali (...). È accaduto pertanto, che a seguito di una visita del medico di controllo, sono stato in un caso trovato assente mentre in realtà ero in casa sotto sedativi e, in un altro caso, non sono stato ugualmente reperito poiché mi trovavo in farmacia per l’acquisto di medicinali e per farmi misurare la pressione (....).

(lettera firmata)

L'art. 5 della legge n. 683 del 1983 prevede l’obbligo del lavoratore di rendersi disponibile al controllo fiscale nell’ambito delle c.d. “fasce orarie” di reperibilità domiciliare collocate dalle ore 10,00 alle ore 12,00 e dalle ore 17,00 alle ore 19,00 di ogni giorno compresi quelli festivi.
La giurisprudenza ha precisato, in diverse occasioni, l’ambito della condotta esigibile dal lavoratore in virtù dell’obbligo di reperibilità, la quale comprende l’adozione di tutti quegli accorgimenti che siano necessari per consentire al medico di reperire il lavoratore e al malato di rispondere positivamente all’accesso.
Occorre pertanto che il lavoratore fornisca al datore di lavoro l’indirizzo esatto dove può essere reperito per la visita (v. in proposito Pret. Brindisi, 25-07-1995, secondo cui "Il medico fiscale ha certamente il dovere, pur di fronte ad indirizzo impreciso da parte dell’assistito, di acquisire un minimo di informazione e di esperire una rapida attività di ricerca in loco, ma, tuttavia, egli non ha l’obbligo di spingere la sua ricerca oltre i limiti di ragionevolezza sì da svolgere il ruolo di un vero e proprio investigatore") e che il medico possa agevolmente trovarlo presso il medesimo (v. in tal senso Trib. Milano, 14-10-1992, secondo cui "(...) non può pretendersi che il medico fiscale debba far ricorso, per verificare la presenza in casa del malato, a mezzi diversi da quelli usualmente adottati dal visitatore occasionale; pertanto, poiché nella specie, il dipendente non aveva provveduto ad indicare il proprio nominativo sulla targhetta del citofono in palazzo privo di portineria, impedendo il controllo da parte del medico fiscale, va ritenuto assente dal proprio domicilio nelle fasce orarie di reperibilità (...)", mentre diversamente Pret. Milano, 15-10-1994, che afferma che "Qualora il lavoratore abbia esattamente indicato al datore di lavoro l’indirizzo della propria abitazione, non può farsi discendere l’irreperibilità alla visita medica di controllo dalla sola mancanza del suo nominativo sulla pulsantiera del citofono - per aver ignoti asportato la relativa etichetta adesiva all’insaputa del lavoratore (...)"); occorre inoltre che il lavoratore sia in grado di sentire il campanello e, quindi, di poter far entrare il medico per il controllo (ad esempio, secondo Cass., sez. lav., 01-08-1991, n. 8490 "(...) il lavoratore che, presente in casa al momento del controllo domiciliare di malattia nelle fasce orarie, non abbia udito il campanello dell’abitazione suonato dal medico perché impegnato nell’ascolto di musica con auricolare, non ha diritto al trattamento economico di malattia").
Da tenersi distinta è invece l’ipotesi dell’assenza del lavoratore alla visita domiciliare. Secondo la giurisprudenza, le ragioni che possono giustificarla, senza necessariamente integrare una causa di forza maggiore, devono tuttavia costituire una necessità determinata da situazioni comportanti adempimenti non effettuabili in ore diverse da quelle di reperibilità (ad esempio, secondo Cass., sez. lav., 26-05-1999, n. 5150, l’impossibilità di effettuare una visita medica in ore diverse da quelle corrispondenti alle fasce di reperibilità, in ragione della coincidenza dell’apertura dell’ambulatorio medico con le stesse), oppure che possono essere legate ad improvvise ed indifferibili esigenze di salute (quali, secondo Cass., sez. lav., 10-12-1998, n. 12458, la visita dal medico curante perché il lavoratore era afflitto da un forte mal di denti).
In conclusione, occorre osservare come la giurisprudenza abbia offerto una lettura sufficientemente elastica del criterio di reperibilità del lavoratore, tenendo assai spesso conto delle esigenze di salute di quest’ultimo; pertanto, con riferimento al caso di specie, è stata ritenuta lecita la giustificazione del lavoratore di assenza alla visita per non aver potuto udire il suono del campanello perché profondamente addormentato in conseguenza delle medicine assunte dietro prescrizione medica (v. in tal senso Pret. Firenze, 16-05-1985), mentre con riferimento all’acquisto di medicinali in farmacia, la giurisprudenza si è espressa sfavorevolmente per il lavoratore (v. Pret. Ascoli Piceno, 17-04-1990); se dunque la prima segnalazione di “assenza” da parte del medico di controllo potrebbe trovare un "giustificato motivo" di esclusione dell’illecito, altrettanto non può dirsi per la seconda.

 

ILLEGITTIMITÀ DELLO SPOSTAMENTO
DEL LAVORATORE
A MANSIONI DELLO STESSO INQUADRAMENTO CONTRATTUALE,
MA NON EQUIVALENTI SUL PIANO PROFESSIONALE

CASSAZIONE, sezione lavoro, 11 aprile 2005 n. 7351.
Sussiste la dequalificazione quando l’assegnazione del lavoratore a nuove mansioni, sebbene corrisponda all’inquadramento contrattuale posseduto dal medesimo, non consenta allo stesso la piena utilizzazione o l’arricchimento della professionalità acquisita nella fase pregressa del rapporto (nella specie il lavoratore, dipendente di Poste Italiane s.p.a., già responsabile di un’agenzia di coordinamento era stato spostato a svolgere le mansioni di preposto ad un’agenzia di base con attribuzione di un’indennità di funzione inferiore a quella percepita in precedenza).

La vicenda esaminata dalla sentenza in commento, riguarda un dipendente delle Poste italiane s.p.a. (avente la qualifica di quadro di primo livello) che, dapprima responsabile di un’agenzia di coordinamento, era stato in seguito preposto ad un’agenzia di base con attribuzione di un’indennità di funzione inferiore a quella percepita in precedenza.
Sia il Tribunale che la Corte di Appello di Torino, adite dal lavoratore per far dichiarare la dequalificazione professionale, avevano rigettato le richieste del dipendente non ravvisando alcuna differenza fra qualifica posseduta e mansioni affidate in base all’inquadramento contrattuale.
La Suprema Corte ha invece ribaltato l’impostazione dei due precedenti gradi di giudizio, affermando il principio di diritto secondo cui il divieto di variazioni in “peius” opera anche quando al lavoratore, nella formale equivalenza delle precedenti e delle nuove mansioni, siano assegnate di fatto mansioni sostanzialmente inferiori, sicché nell’indagine circa tale equivalenza non è sufficiente il riferimento in astratto al livello di categoria, ma è necessario accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del medesimo, salvaguardandone il livello professionale acquisito e garantendo lo svolgimento e l’accrescimento delle sue capacità professionali.