di Sofia Cecconi Consulente Legale Fabi  
 
Risposte ai quesiti
 
Novità giurisprudenziali
 
 

IL LAVORATORE SOTTOPOSTO
A PROCEDIMENTO DISCIPLINARE
NON È TENUTO A RIVELARE CIRCOSTANZE
CHE POSSONO DIMOSTRARE
LA SUA RESPONSABILITÀ

Mi sono state contestate dalla banca presso cui lavoro – ai sensi dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 – alcune irregolarità su operazioni che avrei svolto nel periodo novembre / dicembre 2004; francamente non ricordo con precisione l’intera vicenda: so solo che in relazione alla stessa questione la banca ha inviato diverse contestazioni disciplinari a vari Colleghi, probabilmente con una finalità (per così dire) esplorativa e cioè per capire essa stessa come si sono svolti i fatti. Per prudenza ho preferito rispondere genericamente (...). Vorrei sapere tuttavia quali sono gli obblighi di un dipendente bancario per la risposta alla contestazione disciplinare, giacché ritengo che potrebbe esser fatto un uso strumentale delle giustificazioni, le quali potrebbero addirittura essere usate contro l’interesse di chi le ha presentate.

(lettera firmata)

 
 

Nel procedimento disciplinare avviato dal datore di lavoro nei confronti del dipendente opera, per la difesa del medesimo, la regola generale in base alla quale “nemo tenetur edere contra se”: questa esclude il dovere dell’incolpato di rendere dichiarazioni idonee a fornire la prova della sua responsabilità e, quindi, la esigibilità di dichiarazioni autoindizianti. La Suprema Corte ha stabilito che addirittura la falsità di quanto affermato dal dipendente a propria difesa non può assumere di per sé rilevanza disciplinare (Cassazione, 4 maggio 2005 n. 9262).
Il lavoratore può dunque scegliere di rispondere in modo generico alla contestazione disciplinare e, magari, riservarsi di precisare nel colloquio orale – che deve essere espressamente richiesto dal medesimo nella risposta alla contestazione (c.d. lettera di giustificazioni) – le ulteriori ed eventualmente più precise ragioni a sua discolpa. Del colloquio orale può essere redatto un verbale scritto se entrambe le parti sono d’accordo nel farlo e nel sottoscriverlo; in tale circostanza il lavoratore può avvalersi dell’assistenza di un rappresentante sindacale, riconosciuta dalla legge al solo fine di assicurare al medesimo una migliore tutela, dovendosi invece escludere la facoltà per quest’ultimo di farsi assistere da un legale, non essendovi nella legge alcun riferimento all’assistenza c.d. tecnica (Cassazione, 30 agosto 2000, n. 11430).
Si ricorda, inoltre, che la giurisprudenza ha più volte evidenziato come le contestazioni del datore di lavoro debbano essere trasmesse al lavoratore con immediatezza per consentire la tempestività nell’irrogazione della eventuale sanzione disciplinare (v. Cassazione, 4 marzo 2004, n. 4435); per cui resta anche da vedere – ai fini della regolarità del procedimento – se tale requisito esista per i fatti contestati al richiedente.

 

E’ LEGITTIMO IL RIFIUTO DEL LAVORATORE
DI SVOLGERE LA PRESTAZIONE LAVORATIVA

QUANDO VI SIANO PERICOLI PER LA SUA SALUTE

CASSAZIONE SEZIONE LAVORO 9 MAGGIO 2005 N. 9576

La sanzione disciplinare del licenziamento comminata al lavoratore per il suo rifiuto di svolgere la mansione assegnata è illegittima ove il rifiuto sia giustificato dalla situazione ambientale in cui egli è chiamato ad operare.

Nota Si segnala l’interessante sentenza di cui alla massima riportata in epigrafe per l’importante principio di diritto dalla stessa espresso. In breve i fatti. Un lavoratore addetto all’attività di pulizia e di sanificazione nell’ambito di una struttura ospedaliera era stato sottoposto ad procedimento disciplinare con l’addebito di avere lasciato incompiuto il suo lavoro per quattro giorni consecutivi, omettendo di collocare nell’apposito container i cartoni contenenti i rifiuti dell’ospedale; il datore di lavoro, non ritenendo fondate le giustificazioni proposte dal lavoratore, consistenti nel fatto che il medesimo non aveva potuto lavorare sul container in questione in quanto lo stesso era sporco (per il contatto con il materiale fisiologico infetto) e maleodorante (sempre a causa dei materiali provenienti dalle sale operatorie), lo aveva licenziato. La Suprema Corte ha dato ragione al lavoratore, affermando la facoltà di quest’ultimo di astenersi dallo svolgere determinate operazioni lavorative nell’ipotesi della sussistenza di concreti pericoli alla salute connessi al non corretto adempimento da parte del datore di lavoro dei propri obblighi di tutela delle condizioni di lavoro; non vi può essere dubbio, secondo la sentenza in commento, che il lavoratore, ove effettivamente sussistano situazioni pregiudizievoli per la sua salute o per la sua incolumità, possa legittimamente astenersi dalle prestazioni che lo espongano ai relativi pericoli, essendo coinvolto un diritto fondamentale, espressamente previsto dall’art. 32 della Costituzione, che può e deve essere tutelato in via preventiva, come peraltro attesta anche la norma specifica di cui all’art. 2087 cod. civ. Il principio di diritto sopra evidenziato può essere utilizzato in tutte le situazioni lavorative – e dunque anche in ambito bancario – che possano recare un concreto pregiudizio alla salute ed alla sicurezza del lavoratore. Per precauzione, salvo che non si tratti di situazioni di imminente pericolo, è sempre meglio per il lavoratore far precedere il rifiuto della prestazione dalla messa in mora del datore di lavoro all’adempimento degli obblighi – convenzionali e di legge – di tutela dell’integrità prico-fisica del dipendente.