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IL LAVORATORE SOTTOPOSTO
A PROCEDIMENTO DISCIPLINARE
NON È TENUTO A RIVELARE CIRCOSTANZE
CHE POSSONO DIMOSTRARE
LA SUA RESPONSABILITÀ
Mi sono state contestate dalla
banca presso cui lavoro – ai sensi dell’art. 7 della legge n. 300 del
1970 – alcune irregolarità su operazioni che avrei svolto nel periodo
novembre / dicembre 2004; francamente non ricordo con precisione l’intera
vicenda: so solo che in relazione alla stessa questione la banca ha inviato
diverse contestazioni disciplinari a vari Colleghi, probabilmente con
una finalità (per così dire) esplorativa e cioè per capire essa stessa
come si sono svolti i fatti. Per prudenza ho preferito rispondere genericamente
(...). Vorrei sapere tuttavia quali sono gli obblighi di un dipendente
bancario per la risposta alla contestazione disciplinare, giacché ritengo
che potrebbe esser fatto un uso strumentale delle giustificazioni, le
quali potrebbero addirittura essere usate contro l’interesse di chi le
ha presentate.
(lettera firmata) |
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Nel
procedimento disciplinare avviato dal datore di lavoro nei confronti del
dipendente opera, per la difesa del medesimo, la regola generale in base
alla quale “nemo tenetur edere contra se”: questa esclude
il dovere dell’incolpato di rendere dichiarazioni idonee a fornire
la prova della sua responsabilità e, quindi, la esigibilità
di dichiarazioni autoindizianti. La Suprema Corte ha stabilito che addirittura
la falsità di quanto affermato dal dipendente a propria difesa
non può assumere di per sé rilevanza disciplinare (Cassazione,
4 maggio 2005 n. 9262).
Il lavoratore può dunque scegliere di rispondere in modo generico
alla contestazione disciplinare e, magari, riservarsi di precisare nel
colloquio orale – che deve essere espressamente richiesto dal medesimo
nella risposta alla contestazione (c.d. lettera di giustificazioni) –
le ulteriori ed eventualmente più precise ragioni a sua discolpa.
Del colloquio orale può essere redatto un verbale scritto se entrambe
le parti sono d’accordo nel farlo e nel sottoscriverlo; in tale
circostanza il lavoratore può avvalersi dell’assistenza di
un rappresentante sindacale, riconosciuta dalla legge al solo fine di
assicurare al medesimo una migliore tutela, dovendosi invece escludere
la facoltà per quest’ultimo di farsi assistere da un legale,
non essendovi nella legge alcun riferimento all’assistenza c.d.
tecnica (Cassazione, 30 agosto 2000, n. 11430).
Si ricorda, inoltre, che la giurisprudenza ha più volte evidenziato
come le contestazioni del datore di lavoro debbano essere trasmesse al
lavoratore con immediatezza per consentire la tempestività nell’irrogazione
della eventuale sanzione disciplinare (v. Cassazione, 4 marzo 2004, n.
4435); per cui resta anche da vedere – ai fini della regolarità
del procedimento – se tale requisito esista per i fatti contestati
al richiedente.
E’ LEGITTIMO IL RIFIUTO DEL
LAVORATORE
DI SVOLGERE LA PRESTAZIONE LAVORATIVA
QUANDO VI SIANO PERICOLI PER LA SUA SALUTE
CASSAZIONE SEZIONE LAVORO 9 MAGGIO 2005 N. 9576
La sanzione disciplinare del licenziamento
comminata al lavoratore per il suo rifiuto di svolgere la mansione assegnata
è illegittima ove il rifiuto sia giustificato dalla situazione ambientale
in cui egli è chiamato ad operare.
Nota Si segnala l’interessante sentenza di cui alla massima riportata
in epigrafe per l’importante principio di diritto dalla stessa espresso.
In breve i fatti. Un lavoratore addetto all’attività di pulizia e di sanificazione
nell’ambito di una struttura ospedaliera era stato sottoposto ad procedimento
disciplinare con l’addebito di avere lasciato incompiuto il suo lavoro
per quattro giorni consecutivi, omettendo di collocare nell’apposito container
i cartoni contenenti i rifiuti dell’ospedale; il datore di lavoro, non
ritenendo fondate le giustificazioni proposte dal lavoratore, consistenti
nel fatto che il medesimo non aveva potuto lavorare sul container in questione
in quanto lo stesso era sporco (per il contatto con il materiale fisiologico
infetto) e maleodorante (sempre a causa dei materiali provenienti dalle
sale operatorie), lo aveva licenziato. La Suprema Corte ha dato ragione
al lavoratore, affermando la facoltà di quest’ultimo di astenersi dallo
svolgere determinate operazioni lavorative nell’ipotesi della sussistenza
di concreti pericoli alla salute connessi al non corretto adempimento
da parte del datore di lavoro dei propri obblighi di tutela delle condizioni
di lavoro; non vi può essere dubbio, secondo la sentenza in commento,
che il lavoratore, ove effettivamente sussistano situazioni pregiudizievoli
per la sua salute o per la sua incolumità, possa legittimamente astenersi
dalle prestazioni che lo espongano ai relativi pericoli, essendo coinvolto
un diritto fondamentale, espressamente previsto dall’art. 32 della Costituzione,
che può e deve essere tutelato in via preventiva, come peraltro attesta
anche la norma specifica di cui all’art. 2087 cod. civ. Il principio di
diritto sopra evidenziato può essere utilizzato in tutte le situazioni
lavorative – e dunque anche in ambito bancario – che possano recare un
concreto pregiudizio alla salute ed alla sicurezza del lavoratore. Per
precauzione, salvo che non si tratti di situazioni di imminente pericolo,
è sempre meglio per il lavoratore far precedere il rifiuto della prestazione
dalla messa in mora del datore di lavoro all’adempimento degli obblighi
– convenzionali e di legge – di tutela dell’integrità prico-fisica del
dipendente. |
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