editoriale    
Gianfranco Amato
obiettivamente diversi
di
Gianfranco
Amato

   

È stata varata in questi giorni (questi in cui scriviamo) la riforma di Banca d’Italia, che contiene, finalmente, il mandato a termine per il ruolo di Governatore.
Come spesso accade, gli avvenimenti che interessano da vicino una istituzione storica la mettono sotto la lente d’ingrandimento e la portano a conoscenza di tutti.
È il caso delle scalate, e delle contro-scalate, nei confronti di alcuni importanti istituti di credito del nostro Paese, dove, per mesi, si sono inseguiti banchieri e finanzieri, talvolta avventurieri, il cui interesse si è presto rivelato nella sua vera natura: personale e individuale.
Pura speculazione per un puro profitto.
Altro che preoccupazione per il miglior assetto societario delle Banche stesse.
In apparenza, infatti, sembrava una battaglia tra italianisti ed europeisti, per difendere, da parte di alcuni, la nazionalità delle banche italiane; in realtà era (ed è ancora) una corsa dissennata al guadagno veloce.
Poi, come sempre, sono intervenute le forze politiche, spesso a sproposito, anch’esse portatrici di interessi, più particolari che generali.
Adesso la riforma può rappresentare una svolta forse decisiva.
Ma restano, allo stato, alcuni nodi da sciogliere, tra i quali quello più vistoso appare l’assetto proprietario.
Molte banche sono infatti azioniste – alcune anche in misura consistente – dell’Istituto centrale, creando così la figura ibrida di controllato/controllore nello stesso tempo, caso pressoché unico nel panorama europeo.
È pur vero che le quote hanno un valore nominale molto modesto,
ma la contraddizione resta e contribuisce ad aumentare la confusione; quando, appunto, lo statuto prevede che la partecipazione al capitale
debba essere di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni sia posseduta da enti pubblici.
Per rispettare lo Statuto cosa occorre fare?
Diminuire la partecipazione privata e aumentare quella pubblica, ovviamente, attribuendo più quote allo Stato (quindi al Tesoro) e forse alle Regioni.
Ma sarà sufficiente per garantire il ruolo di arbitro all’Istituto?
Perché è questo che conta, alla fine.
Ed è proprio questo che la Fabi dice da sempre, in tutte le occasioni disponibili.