a cura di Massimo Mestroni (psicoterapeuta) e Mario Marchione (dirigente provinciale della FABI di Trieste)

 
Lutto in tutta la Fabi: è morto Francesco Cerutti

Che cos’è il mobbing? Il mobbing è un’aggressione sistematica e continuativa, prevalentemente di tipo psicologico, che può coinvolgere uno o più lavoratori sul luogo di lavoro.
Il fenomeno, che era sconosciuto nel mondo dei bancari, ha iniziato a fare capolino anche nelle nostre aziende.
Ciò emerge dalla pubblicazione “Anatomia del Mobbing, la realtà nel settore bancario” a cura di Ivano Spano (Padova), Pierpaolo Bottin (Padova) e Massimo Mestroni (Trieste) Edizioni “Città Aperta”.
L’idea di scrivere questo testo è sorta dal desiderio di affrontare un argomento d’attualità scientifico al fine di divulgare uno studio effettuato nel settore bancario, dove ancora poco si è fatto sull’argomento, tramite questionari apposta costruiti. Questo studio, partito nel Friuli – Venezia Giulia, ha puntato anche a fare chiarezza su un argomento che, essendo di “moda”, inevitabilmente porta con se inevitabili distorsioni, preconcetti e false convinzioni.
Dalla pubblicazione emerge come il fenomeno, se prolungato nel tempo, può provocare nelle vittime un forte disagio psicologico, di solito di tipo ansioso – depressivo, con frequenti complicanze di tipo psicosomatico, che a lungo andare possono incidere molto pesantemente sulla qualità della vita e delle relazioni degli individui. Ciò inevitabilmente avrà influenza negativa sui costi di gestione della stessa azienda in cui è presente il fenomeno mobbing: si calcola infatti che un’azienda con 1000 dipendenti circa, perda in media almeno 150.000 euro l’anno a causa del mobbing. La perdita è perlopiù causata dai costi derivanti da spese sanitarie, giornate di astensione dal lavoro per motivi di salute, danni diretti ed indiretti alla produttività, ecc., ecc.. Proprio per questi motivi molte aziende, per lo meno quelle più lungimiranti, sono interessate ad affrontare il fenomeno.
Si legge sul testo che le motivazioni dell’aggressione da mobbing sono svariate, e possono essere dovute a cause anche di tipo concreto e razionale, come ad esempio dalla necessità di competere con i colleghi per evitare di rientrare nella categoria degli esuberi, oppure a cause più irrazionali, come ad esempio una profonda ed assurda antipatia nei confronti di un individuo. In certi casi può bastare veramente poco per ritrovarsi “nell’occhio del ciclone”, come un commento a sfondo politico non condiviso, il modo di vestire, le proprie origini, il proprio sesso, il tipo d’auto posseduta, i capelli “ancora in testa” nonostante l’età. Questi od altri possono essere tutti motivi per scatenare il mobbing.
Nel concreto si usa il termine mobbing per indicare una serie d’azioni vessatorie, compiute sistematicamente da uno o più individui contro una “vittima designata”. Alcuni esempi di tali azioni possono essere: escludere la vittima da certi incarichi importanti, nasconderle documenti o impedirle l’accesso ad informazioni indispensabili (come convocazioni a riunioni), manometterle il computer, assegnarle incarichi dequalificati e/o umilianti, diffondere tra i colleghi battute velenose o vere e proprie calunnie relative alla sua professionalità o alla sua vita privata, oppure aggredirla verbalmente magari davanti a terzi, ecc. ecc..
E’ ampiamente dimostrato, che una persona, anche serena ed equilibrata, non può reggere a lungo ed in modo tranquillo un evento del genere (ad esempio per più di sei – otto mesi).
Ormai da un poco di tempo si sta cercando di trovare risposte normative a questo fenomeno in crescita. Già si possono trovare alcune sentenze in merito, anche se non esiste ancora una definizione giuridica del fenomeno. Ciò servirà anche a dare risposte che risolvano gli innumerevoli dubbi sulla materia. Le affermazioni più frequenti che sentiamo, quando si parla di mobbing, è che non è possibile per le vittime difendersi, che non rimane altro da fare che subire, che non si può fare nulla, perché non si hanno testimoni. Al contrario, soprattutto da quando è stato studiato e riconosciuto il fenomeno mobbing, è oggettivamente possibile, in molti casi, vedere riconosciuti e riaffermati i propri diritti. Importante in queste situazioni è rivolgersi alle persone giuste o meglio al gruppo di persone giuste. Il mobbing è un fenomeno complesso, che deve essere affrontato con l’appoggio del sindacato, dell’avvocato, del medico, dello psicologo, ed altri. Può essere difficile, infatti, che un solo esperto offra la risposta adeguata, tanto meno è il caso di “fare da soli”, come purtroppo si ostinano a fare alcuni dipendenti. Per risolvere il problema talvolta possono essere sufficienti le opportune certificazioni mediche e psicologiche e la documentazione relativa all’attività lavorativa effettuata. Un buon avvocato con l’ausilio di un buon sindacalista possono evidenziare i turni di lavoro oggettivamente vessatori, magari sottopagati o demansionati, ai quali è stato costretto un lavoratore.
Talvolta si eccede sull’uso del termine finalizzandolo al mantenimento di certi privilegi, oppure per evitare responsabilità si sente affermare che il mobbing è solo una scusa”. Certo che per poter parlare di mobbing è necessaria la presenza di alcune caratteristiche peculiari, senza le quali non è possibile affermare, che ci troviamo di fronte ad un’azione vessatoria di tipo mobbizzante.
Innanzi tutto, dobbiamo trovarci in presenza di azioni persecutorie costanti, non isolate nel tempo, inoltre, queste azioni di tipo persecutorio devono durare da almeno sei mesi ed essere effettuate intenzionalmente da parte del “mobber” o dei “mobber” (cioè dagli aggressori), altrimenti non è possibile parlare di mobbing e al massimo ci troviamo di fronte ad una situazione ancora fluida, dove contrasti e conflitti interpersonali fanno parte di quella, che Harald Ege definisce ancora come “condizione zero”.
Un altro stereotipo frequente è quello che fa corrispondere al mobbizzato l’immagine di un succube, di un perdente dotato di un io molto fragile, il classico “Fantozzi”, per intenderci, ma in molti casi non è così, anzi spesso la vittima delle azioni mobbizzanti può essere una persona “in gamba”, che tende ad emergere per capacità, professionalità, onestà, ecc.. In altri casi invece una persona può essere presa di mira per delle banalità, perché semplicemente diversa, perché non conforme al gruppo, e non perché succube; talvolta basta veramente poco, come già suggerito poc’anzi.
Oppure, affermare che i “mobbizzati” sono delle vittime predestinate, che se la vanno a cercare, è errato, per lo meno nella maggior parte dei casi, e di solito un’affermazione del genere è sostenuta da “mobber”, reali o potenziali che siano, per giustificare uno stile relazionale aggressivo se non addirittura sadico.
Un’altra affermazione insensata, che si può spesso riscontrare spesso nella pratica clinica o sindacale, è quella secondo la quale una persona, che in passato ha ricevuto un supporto psicologico, psicoterapico o psicofarmacologico, non può essere difesa in una vertenza per mobbing. In realtà ciò non è assolutamente vero, anzi dal punto di vista della pratica professionale quest’affermazione è una vera e propria corbelleria, anche se purtroppo capita ogni tanto di sentirla affermare a chiare lettere, da persone però evidentemente incompetenti in materia di mobbing, infatti, sarebbe come affermare, che ad un dipendente non può essere riconosciuta la condizione di infortunio, perché un anno fa si è fratturato una gamba.
Inoltre, non è nemmeno il caso di pensare: “Tanto a me queste cose non capitano”. In realtà a molti di noi, o ai nostri congiunti, è capitato di essere vittima di vessazioni sul luogo di lavoro, soprattutto in questi ultimi tempi, nei quali l’aggressività e la competitività sono notevolmente aumentate in ambito lavorativo e sociale.
Fatte queste precisazioni, si accennerà ora brevemente agli esiti della ricerca, limitandoci per ora a riferire, che nel nostro campione è stata riscontrata una certa presenza di fenomeni “da mobbing” e più in generale di “burn out” (cioè depressione da lavoro), anche se fortunatamente almeno per ora non è possibile parlare di un mobbing diffuso e conclamato in modo capillare nelle realtà bancarie, che sono state oggetto di studio. Accanto, infatti, a realtà dove il fenomeno è sicuramente presente, appaiono realtà, che ne sono esenti e ciò dimostra, che nell’insieme la situazione non è ancora grave, anche se gli stessi dati emersi suggerirebbero alle varie aziende di attrezzarsi per affrontare il problema, poiché se molti istituti per ora non sono interessati da fenomeni di mobbing, gli stessi dati emersi suggeriscono, che stando così le cose, molti di loro, prima o poi, potrebbero esserne coinvolti, ad esempio alla prossima fusione o al prossimo rinnovo contrattuale, poiché ogni cambiamento può turbare equilibri delicati.
Un altro dato che emerge, è quello di una forte presenza di psicosomatizzazioni, che oltre ad evidenti vissuti “da mobbing”, in molti casi sono dovute semplicemente a forti carichi di stress ed ansia, che attualmente la professione di bancario comporta e che rappresentano una criticità che, assieme ai fenomeni da mobbing, andrebbe affrontata a livello preventivo con mirati interventi formativi, al fine di introdurre una nuova cultura aziendale a livello comunicativo e a livello di dinamiche individuali, relazionali ed interattive, essendo anche in questo caso frequenti i preconcetti e le false convinzioni.
Interessante è stato inoltre osservare come l’applicazione del medesimo questionario nelle zone di Padova e di Bari, abbia fornito risultati simili e comparabili, rispetto a quelli riscontrati in Friuli Venezia Giulia, fattore questo che, oltre a confermare la validità e l’affidabilità della ricerca, tende ad evidenziare come la situazione di mobbing diffuso “a macchia di leopardo”, non sia una realtà solamente regionale ma molto probabilmente pure nazionale.