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SUGLI OBBLIGHI DEL LAVORATORE
IN TEMA DI
LAVORO STRAORDINARIO
Sono una dipendente bancaria e
lavoro come impiegata dell’ufficio del personale presso la Direzione
Centrale, occupandomi, fra le altre cose, anche della predisposizione
delle buste paga. Nel corso degli ultimi anni la banca ha esteso la propria
attività ed ha acquisito nuove filiali con conseguente aumento
di lavoro per il mio ufficio (...). Da un anno a questa parte, dunque,
sono spesso costretta a prolungare il mio orario normale di lavoro. Tale
situazione sta divenendo insopportabile in quanto non mi permette di conciliare
il lavoro con gli impegni familiari. Vorrei sapere se posso rifiutarmi
di prestare il lavoro straordinario che mi viene richiesto.
(lettera firmata) |
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Il
datore di lavoro ha la possibilità di richiedere prestazioni aggiuntive
al lavoratore nei modi e con i limiti previsti dal contratto collettivo,
ove questo sia dal medesimo applicato.
La nuova disciplina in tema di orario di lavoro (d.lgs. n. 66/2003) stabilisce
infatti che, in difetto di disciplina collettiva applicabile, il ricorso
al lavoro straordinario è ammesso soltanto “previo accordo
tra datore di lavoro e lavoratore” (art. 5, comma 3). Di conseguenza,
laddove il contratto collettivo autorizzi il lavoro straordinario, non
sarà necessario il consenso del lavoratore, ritenendosi implicitamente
conferito tramite l’adesione del singolo alla normativa collettiva
all’atto dell’assunzione.
La facoltà del datore di lavoro di richiedere al dipendente la
prestazione di lavoro straordinario assume una particolare coloritura
con riferimento ai dipendenti delle aziende di credito. Il contratto collettivo
di tale comparto, infatti, da un lato, prevede espressamente la possibilità
dell’impresa di chiedere al dipendente prestazioni lavorative aggiuntive
al normale orario giornaliero nel limite massimo di due ore al giorno
o di 10 settimanali (art. 97); dall’altro, introduce una netta distinzione
tra prestazioni di lavoro aggiuntive fino a 50 ore l’anno, le quali
non costituiscono straordinario ma bensì strumento di flessibilità
con diritto al recupero obbligatorio da parte del dipendente secondo le
modalità previste e, prestazioni aggiuntive che sforino il limite
delle 50 ore, che danno invece diritto al compenso per lavoro straordinario.
Il lavoro straordinario non deve tuttavia superare le 100 ore nell’anno
solare.
La disciplina convenzionale è in tal senso nettamente più
favorevole per il lavoratore rispetto a quanto disposto dal dettato legislativo
secondo il quale il ricorso al lavoro straordinario non deve superare
le 250 ore annue (art. 5, comma 3).
Venendo al caso in esame, la dipendente non potrà rifiutarsi di
prestare attività lavorativa aggiuntiva qualora tale richiesta
sia contenuta nei limiti appena indicati. Un’eventuale diniego da
parte della medesima potrà infatti essere valutato alla stregua
di un inadempimento sanzionabile disciplinarmente dal datore di lavoro,
fatto salvo il giustificato motivo di rifiuto della lavoratrice e la possibilità
di verifica ex post circa il fatto che il potere discrezionale dell’imprenditore
sia stato esercitato secondo le regole di correttezza e buona fede poste
dagli art. 1175 e 1375 c.c. nel contenuto determinato dall’art.
41, 2º comma, cost. (v. in tal senso Cass., sez. lav., 5.08.2003,
n. 11821; Cass., sez. lav., 19.02.1992; Cass., sez. lav., 7.041982, n.
2161).
Oltre tale soglia, la dipendente potrà invece legittimamente opporsi
alla richiesta di prestare lavoro straordinario, venendo oltretutto in
gioco la più ampia tutela degli interessi connessi all’integrità
psico – fisica dei lavoratori (art. 32 Cost.), alla cui finalità
è sottesa la stessa disciplina legislativa, nel pieno rispetto
dei principi costituzionali sullo sviluppo della vita privata di ciascun
cittadino e – in questo senso – anche del lavoratore (in senso
conforme v. Cass., sez. lav. 01.09.1997, n. 8267).
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SUL DIRITTO AL CONGEDO STRAORDINARIO
DI FRATELLI E DI SORELLE IN CASO DI ASSISTENZA
AL FAMILIARE PORTATORE DI HANDICAP
Corte Costituzionale sentenza 16
giugno 2005 n. 233
È fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.
42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico
delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità
e paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo
2000, n. 53), nella parte in cui non prevede il diritto di uno dei fratelli
o delle sorelle conviventi con il soggetto con handicap in situazione
di gravità di fruire del congedo ivi indicato, nell’ipotesi
in cui i genitori siano impossibilitati a provvedere all’assistenza
del figlio handicappato perché totalmente inabili.
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Con
la sentenza di cui alla massima in epigrafe la Corte Costituzionale riscrive
la disciplina sui permessi per i lavoratori che assistono i portatori
di handicap in modo da renderla coerente con la ratio legis e le necessità
emerse dalla sua concreta applicazione.
In breve i fatti. Una lavoratrice aveva chiesto all’INPS di poter
fruire del congedo straordinario della durata di due anni, previsto dall’art.
42, quinto comma del decreto legislativo n. 151 del 26 marzo 2001, per
poter prestare assistenza al fratello convivente, portatore di handicap
grave, facendo presente che suo padre era deceduto e che sua madre era
affetta da invalidità totale, con diritto all’indennità
di accompagnamento. Il rigetto della domanda, motivato dal fatto che la
legge invocata prevedeva il diritto, per il fratello o la sorella del
soggetto portatore di handicap, al congedo straordinario, solo nel caso
di avvenuta scomparsa di entrambi i genitori, è stato ritenuto
legittimo nella causa che ne è seguita innanzi al Tribunale di
Vercelli; nel giudizio di appello presso la Corte di Torino è stata
invece sollevata la questione di illegittimità costituzionale,
per contrasto con l’art. 3 della Costituzione, della norma di legge
in questione, rilevandosi che essa irragionevolmente regola in modo difforme
situazioni fra loro analoghe, quali sono quella del genitore deceduto
o assente e quella del genitore totalmente inabile, pur essendo comune
ad entrambe le ipotesi l’impossibilità del genitore di provvedere
all’assistenza del figlio handicappato.
La Corte Costituzionale ha ritenuto la questione fondata giacché
la ratio legis della disposizione normativa sarebbe quella di favorire
l’assistenza al soggetto con handicap grave mediante la previsione
del diritto ad un congedo straordinario da parte di familiari abili.
Tale importante decisione è stata immediatamente recepita dalla
circolare INPS del 29 settembre 2005, n. 107, la quale dà atto
della possibilità, in caso di totale inabilità di entrambi
i genitori o di un solo genitore (se l’altro è deceduto)
di figli in condizioni di handicap grave, di riconoscere il congedo di
cui trattasi anche a fratelli o sorelle conviventi con il soggetto gravemente
disabile.
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